Argomenti trattati
A documentare il rinvenimento della zanzara della malaria in Puglia, lo studio realizzato in collaborazione dall’Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata, dall’Istituto superiore di sanità e dal servizio veterinario dell’Asl di Lecce.
Lo studio sulla zanzara della malaria
Gli studi si sono intensificati a seguito di un episodio risalente al 2017, quando 4 immigrati contrassero la malaria qui in Italia e furono ricoverati a Taranto.
Fra il 2022 e il 2023 sono state analizzate 216 zanzare (125 immature e 91 adulti) in 11 siti differenti sulla costa a nord di Otranto: selezionate in aree caratterizzate dalla presenza di diverse paludi, bacini d’acqua salmastra e laghi naturali e allevamenti.
Le dichiarazioni della dottoressa dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata
La dottoressa Maria Assunta Cafiero rivela ulteriori dettagli in merito alla scoperta a Repubblica:
«La Sacharovi, che è un vettore storico di malaria in Italia, in particolare nella zona Adriatica, sembrava ormai scomparsa per l’antropizzazione e anche per le sostanze chimiche che vengono utilizzate in agricoltura. Tuttavia, monitorare il territorio è importante e in particolare abbiamo indagato in quell’area perché eravamo convinti si potesse trovare in qualche zona meno antropizzata, vicino a aree umide».
Gli esperti invitano a fare attenzione senza creare allarmismi
Nonostante la scoperta, gli esperti invitano i cittadini a non creare allarmismi in merito poiché la situazione è sotto controllo:
«L’Italia è indenne dalla malaria da tantissimi decenni ma aver trovato un ulteriore vettore storico come la Sacharovi è importante perché ci permette di capire come residui questa specie e sottolinea quanto sia importante fare attenzione e proseguire gli studi che si sono interrotti, o comunque allentati, da quando la malattia è stata debellata».
Le parole della direttrice del Policlinico di Bari
La professoressa Maria Chironna, afferma:
«Finora non c’è alcun caso accertato, solo d’importazione in soggetti provenienti da aree endemiche, però è ovvio che con i vettori presenti sul territorio non si può escludere in futuro che ci possano essere casi autoctoni, complici i cambiamenti climatici che rendono possibile l’adattamento».