Questa volta ci spostiamo vicino a Torino, parliamo di “Villa Capriglio” acquisita poi dal demanio e quindi ribattezzata “Villa del Demanio” ma da tutti chiamata “Villa del Demonio”. Chissà perché?
Villa Capriglio: la storia della casa del diavolo
Ora un po’ di storia: la costruzione della villa, posta lungo la strada che sale da Chieri a Pino Torinese, iniziò nel 1706 con l’obiettivo di essere una lussuosa dimora per la famiglia Marchisio, “Vigna Marchisio”. Quest’opera doveva fungere da residenza di campagna, pronta ad accogliere l’intera nobiltà del torinese. I lavori procedettero lentamente e nel corso degli anni i Marchisio persero interesse nel completarla e non ultimata la vendettero a alla famiglia Capriglio. Il conte di Capriglio era un uomo molto attivo, e grazie alla sua abilità sociale, riuscì a conquistarsi la simpatia dei Savoia. La storia racconta che in questo luogo appartato, Vittorio Amedeo II di Savoia faceva segretamente visita alla sua amante. Nel 1773, la dimora fu acquistata dal Regio Demanio, confermando così l’interesse della famiglia Savoia per questa villa. Passò successivamente attraverso le mani di vari proprietari fino al 1963, quando venne ceduta al comune di Torino. Nel 1971, furono avviati i lavori di restauro, che subirono un’improvvisa interruzione senza mai essere ripresi. Si dice che questa interruzione sia stata causata dal ritrovamento di alcuni cunicoli e di una stanza ottagonale, utilizzata chiaramente per messe nere, pratiche esoteriche e sacrifici.
La maledizione di Villa Capriglio: “Questo posto è il male!”
Bene, cosa mai potrebbe andare storto? Parcheggiando lungo la strada incontriamo un sentiero che porta verso la Villa, non è un luogo recintato è completamente aperto, lungo il sentiero troviamo cumuli di spazzatura e cose inquietanti, tipo una parrucca nera lunga abbandonata nel fango. Prima della villa c’è una costruzione, molto probabilmente una dependance, luogo dove pare dimorino alcuni senza tetto, l’atmosfera comunque è già in partenza difficile, ci sentiamo osservati anche se non c’è nessuno e nonostante la strada sia a pochi metri, camminiamo in un silenzio irreale. Passata la dependance arriviamo di fronte alla Villa, all’esterno sono presenti tracce di falò e altra spazzatura segno di una frequentazione serale che è difficile immaginare solo a scopo esplorativo. Alzando gli occhi osserviamo la Villa nel suo fatiscente “cadere a pezzi” e subito sale una sensazione: “Questo posto è il male!”.
Facciamo fatica a non scappare e lentamente raggiungiamo l’ingresso. La casa è completamente aperta, si puo’ entrare senza problemi, l’unico problema è che è completamente in rovina. Ci muoviamo con quella piccola frenesia di chi è curioso ma al tempo stesso non vede l’ora di andarsene, non controlliamo neanche gli strumenti perché è talmente viva la presenza di qualcosa di oscuro che il nostro cervello non osa metterlo in discussione. Tentiamo di trovare la stanza ottagonale ma non ci riusciamo, forse perché non vogliamo più stare lì. A un certo punto mi sale la preoccupazione dei vivi, siamo io, mia figlia e un barboncino, se pure grintoso non credo possa difenderci da un eventuale aggressore, decidiamo di tagliare la corda. Attraversiamo velocemente le stanze vandalizzate e piene di scritte e di simboli. Per un attimo ci sentiamo seguiti, da quegli occhi che hanno osservato la nostra visita. Uscire dalla villa già da sollievo, ci ritroviamo alla macchina con parecchie domande.
E’ stata solo suggestione? Ha contribuito il fatto che sia un posto isolato e in rovina? Le presenze che abbiamo avvertito erano ostili? Perché quando ci siamo allontanati abbiamo percepito di aver lasciato il male alle spalle?
Andando verso la prossima destinazione, ognuno nel silenzio si formulava delle spiegazioni, forse anche il barboncino.