Le fonti letterarie principali su Antinoo sono le stesse che esistono sull’imperatore Adriano (il cui regno si estese dal 117 d.C. al 138 d.C.): sono, soprattutto, Cassio Dione e la Historia Augusta. Di Cassio Dione (III secolo d.C.), console e storico sotto i Severi, che lavorò ventidue anni alla sua opera Storia Romana, in 80 libri, da Enea al 229 d.C. (forse edita in molte parti), abbiamo solo i libri 36-60 e parti dei 79-80 in frammenti, di un palinsesto vaticano, mentre il resto è in epitomi, una di Xifilino dell’XI secolo, l’altra di Zonara del XII secolo d.C. Altro testo è l’Historia Augusta, di cui non conosciamo né autore, né data, né scopo: è una raccolta di biografie, forse priva di una parte iniziale con inscriptio e dedica, da Adriano a Caro, Carino e Numeriano, compresi quelli che furono solo designati imperatori. Esse risultano dedicate a Diocleziano e Costantino, ma la datazione è incerta per numerosi anacronismi, per riferimenti ad istituzioni non ancora esistenti all’epoca: per alcuni, dunque, vi sono falsificazioni, retrodatazioni (Momigliano), mentre altri ritengono che la datazione possa essere davvero del IV secolo d.C. Gli autori nell’opera si citano tra loro, ma non appaiono diversi né per stile, né per uso di fonti (utilizzate alla stessa maniera o spesso addirittura inventate): quindi i sei storici indicati come autori delle biografie (Elio Sparziano, Giulio Capitolino, Volcacio Gallicano, Elio Lampridio, Trebellio Pollione, Flavio Vopisco), in realtà, non sarebbero i veri autori.
Il parere più recente vuole una datazione ampiamente post-costantiniana, forse contemporanea o poco posteriore ad Aurelio Vittore (350 ca.). Altra fonte letteraria, per questo imperatore, è il lessico Suida (ma nel manoscritto è indicato come Suda), un dizionario bizantino (X secolo d.C.) che cita vari aneddoti e curiosità su autori e personaggi dell’età adrianea. Esiste, però, un problema di valutazione:
l’Historia Augusta non è sicuramente una fonte attendibile, in quanto spesso interpreta male le sue informazioni già vecchie di un secolo. Riguardo alla credibilità delle testimonianze, il prof. Bowie (Oxford) ritiene che le informazioni negative su Adriano siano frutto di una campagna denigratoria e siano state raccolte in ragione dell’ostilità del Senato contro l’imperatore: ad esempio, alcune fonti parlano dell’uccisione, da parte di Adriano, dell’architetto Apollodoro di Damasco, che però, da altre testimonianze, risulta vivo dopo la morte dell’imperatore.
Lo storico Mazzarino ritiene che, in linea di massima, la figura di Adriano risulti, come nel racconto della Historia Augusta, equilibrata dall’uso di fonti storiche sia sfavorevoli che favorevoli (es. la stessa autobiografia dell’imperatore).
Difficoltà si riscontrano anche quando, a prescindere dalle documentazioni artistiche, si cerca di delineare un ritratto dell’imperatore Adriano basandosi sui dati letterari, infatti queste non sono sempre concordi tra di loro. Così se nei confronti dell’imperatore i giudizi di Cassio Dione e di Elio Sparziano possono sembrare sconcertanti, poiché contemporaneamente se ne dice un gran bene ed un gran male, la ragione è forse da ricercare nel fatto che accanto ad un Adriano imperatore è esistito, anche e soprattutto, un Adriano uomo. Così i due scrittori antichi si limitarono a segnalare episodi ed aspetti di
quella complessa personalità umana, che sono soltanto frammenti, non di rado anche trascurabili, di una vita estremamente complessa e travagliata.
Chi fu storicamente Antinoo? È difficile rispondere, perché ben poco sappiamo di lui, almeno sino al suo incontro con l’imperatore Adriano. Nacque certamente in Bitinia, in Asia Minore, ma non si sa precisamente in quale anno, forse nel 110 d.C., un 27 novembre, perché in tale giorno il Collegio dei Culti di Diana e di Antinoo a Lanuvio, vicino Roma, ne celebrava il giorno di nascita. Lo si ricava da numerose iscrizioni lì ritrovate. Le iscrizioni sono in C.I.L. I, 5; II, 11; XIV, 2112.
Questa data è però spiegabile in altro modo.
Il mese di Choiak, indicato in età imperiale anche con ÉAdrianÒw4 (cf. DGE I, s.v. ÉAdrianÒw4, p. 55; Bischoff, art. Hadrianion, RE XIV/1, 1912, col. 2172 e art. Hadrianos, col. 2177),cadeva, durante l’impero di Adriano, all’incirca tra il 27 novembre ed il 26 dicembre (per una conversione on-line dei due sistemi di datazione, vedi il Date converter for Ancient Egypt all’indirizzo elettronico http://www.egyptian-chronology.netfirms.com), periodo durante il quale si festeggiavano per eccellenza i misteri di Osiride. Nulla esclude che potesse esservi un legame tra la divinità resuscitata Osiride e la rinascita di Antinoo; tanto più che a Lanuvio è attestato un culto similare con Diana, dea della caccia e della luna (vedere la mia nuova interpretazione della morte di Antinoo durante la caccia al leone e la successiva divinizzazione proprio ad opera della dea Luna).
Dall’incontro in Bitiania Antinoo fu certamente sempre nel corteo dell’imperatore che viaggiava con lui per il vasto Impero, anche se le fonti storiche espressamente non lo affermano, ma lo lasciano intuire. Il corteo imperiale nel 130 d.C. raggiunse Alessandria, in Egitto, dopo Roma, allora, la città più importante dell’Impero e dove greci, egizi, ebrei e cristiani erano spesso in lotta fra di loro.
Adriano era stato un benefattore della città, ma i cittadini di Alessandria si mostrarono allora alquanto ostili e ingrati. Lo testimonia lui stesso in una lettera inviata al cognato Lucio Giulio Serviano e riportata dallo scrittore siracusano Flavio Sapisco, vissuto agli inizi del IV secolo d.C., nella sua vita dell’imperatore Saturnino nell’Historia Augusta, e forse desunta dalla biografia di Adriano di Flegone: “Io le ho fatto (ad Alessandria d’Egitto) grandi concessioni, le ho ridato gli antichi privilegi ed anche molti di nuovi, tanto che i cittadini sono venuti a ringraziarmi personalmente; e tuttavia appena ho lasciato la città, essi hanno sparlato in modo indegno del mio diletto (figlio?) Vero. Di ciò che hanno detto di Antinoo, credo che tu sia stato già informato”. La lettera fu scritta dopo la partenza dell’imperatore e deve ritenersi abbastanza verosimile, anche se la dicitura di console data a Serviano, che fu tale solo nel 134 d.C., può essere s
tata aggiunta successivamente. La definizione in questo testo di filius meus data al favorito Lucio Ceionio Commodo Vero è, come già notato, da interpretarsi diversamente, perché egli fu adottato dall’imperatore col nome di Lucio Elio Cesare solo nel 136 d.C. Perché qui Adriano parla prima di Elio Vero e solo dopo di Antinoo? Non potrebbe essere perché Antinoo, proprio ad Alessandria, era morto e per questo le maldicenze degli Alessandrini erano proprio per il nuovo culto imperiale attribuito al fanciullo proprio nella loro città? Credo che possa essere ben più di una semplice ipotesi. Ad Alessandria tale era l’astio nei confronti dei non cristiani che, più tardi, l’apologeta cristiano Dione Crisostomo così li chiamò: (Orat. XXXII, 472): “Rifiuti di tutto il mondo, nemici di ogni cosa sana, schiavi di ogni tipo di piacere, dilettantisi solo di teatri e di circhi”.
Adriano sembra nella sua lettera essere stato colpito nel vivo dagli Alessandrini proprio per le loro maldicenze sulla morte di Antinoo, se è vero che, fastidiosamente, le sorvola.
Fu un incidente o un “sacrificio” accettato volontariamente o imposto? Cioè un suicidio o un omicidio?
Sapeva il ragazzo che immergendosi nel Nilo, secondo un antico mito egiziano, ne sarebbe uscito divinizzato? In realtà non si hanno prove per nessuna di queste ipotesi. Le stesse fonti storiche sono assai ambigue al riguardo. Sparziano, al capitolo 14, lascia la questione in gran parte insoluta: “Il suo Antinoo, mentre navigava sul Nilo, perse e lo pianse femminilmente. Gli decretò ogni sorta di onori, dalla creazione di numerosissime statue alla fondazione di una città, Antinoupolis, nel luogo dove quello annegò, (era forse passato troppo tempo per poter ricordare diversamente) dalla dedica di templi e dalla sua ammissione tra gli dei alla diffusione della voce della sua metamorfosi in una stella”. Alcuni insinuarono ciò che la bellezza del giovane e la sensualità di Adriano lasciano immaginare. I Greci per volere dell’imperatore divinizzarono il ragazzo, affermando che da lui venivano responsi oracolari. Si mormorava che fosse Adriano a prepararli.
Dione Cassio (LXIX, 11) afferma, dopo circa quarant’anni dalla morte dell’imperatore, che Antinoo si
sacrificò spontaneamente per Adriano, che, dilettandosi di arti magiche, aveva bisogno, per essere iniziato in esse, del sacrificio “volontario” di un amico; inoltre riferisce che l’imperatore stesso avrebbe scritto l’essere Antinoo caduto nel Nilo, ma accenna anche all’ipotesi che sia stato, o si sia, sacrificato per rendere attuabili oscure pratiche di magia del sovrano, oppure per allontanare dal capo di lui un pericolo mortale. Questa cerimonia di auto sacrificio è pur nota nel mondo romano come devotio, ma era rarissima e serviva per salvare lo Stato e non certamente la vita di un imperatore, che in quel momento non correva alcun rischio imminente in tal senso.
Evidentemente Dione era persuaso che Adriano – e chissà mai perché – avesse deciso di privarsi della persona al mondo che più amava e avesse decretato la morte del suo amasio. Poi, però, ammette Dione, l’imperatore si era dimostrato molto riconoscente e, dopo aver fatto seppellire il suo amato, lo aveva ricompensato, non soltanto fondando una città proprio a Besa, nel luogo in cui il giovane aveva incontrato la morte, ma anche dandole il nome di Antinoopoli.
Ci sono, dunque, varie ipotesi sulla morte di Antinoo nella Historia Augusta che non convincono affatto. La prima, simile a quella proposta da Dione, è quella secondo la quale Antinoo si sarebbe sacrificato e lasciato affogare dopo che qualcuno gli aveva dichiarato che soltanto la sua volontaria morte avrebbe potuto salvare la vita dell’imperatore. Dione trova così un qualificato responsabile, lo stesso Adriano.
Antinoo era profondamente amato dall’imperatore, aveva tutto quello che si poteva desiderare. Molti nella corte di Adriano avrebbero voluto vederlo morto. Era, tuttavia, chiaro che se mai Adriano, una volta scomparso Antinoo, avesse intuito che questi era stato assassinato da uno della sua corte, lo avrebbe severamente punito. Se Adriano avesse anche lontanamente supposto una partecipazione della moglie alla morte del giovane non avrebbe proseguito il suo viaggio con lei.
Comunque ormai Antinoo era morto e non c’era niente altro da fare che piangerlo. Elio Sparziano insinuò che Adriano lo pianse con pianti femminili. Questa era un’accusa che spesso in politica si usava per distruggere i propri avversari. Infatti nel mondo classico l’omosessualità non era scandalosa ed era anche tollerata, ma non era ammissibile che si piangesse smodatamente la morte del proprio amato, si faceva la pessima figura di essere una “donnicciola” e questo per la “mascolinità” romana equivaleva ad essere più grave di un insulto, specialmente se ad essere deriso era un imperatore.
Come avrebbe potuto questa “donnicciola” in cui, secondo Sparziano, Adriano si era trasformato uccidere o far uccidere un ragazzo giovane e pieno di vita?
L’imperatore, come da programma, ritornò a Roma solo cinque anni dopo, nel 135 d.C. Cinque anni in cui, se Sabina avesse avuto anche una piccola parte nella scomparsa di Antinoo, tante cose avrebbero potuto accaderle, prima della morte avvenuta l’anno successivo al ritorno; ella, nonostante le insinuazioni di Sparziano, che pensa ad un omicidio di Adriano a un suicidio si spense tranquillamente e per cause naturali.
Quale che ne fosse la causa, fatto è che Antinoo morì. Ufficialmente nessuno venne incolpato e le ragioni della scomparsa di Antinoo che vennero proposte furono proprio quelle di Dione e di Sparziano.
Ritorniamo ora ad un più attento esame delle fonti storiche.
Aurelio Vittore (Ep. 14) crede che Antinoo si sia ucciso per prolungare la vita dell’imperatore. Del resto perché egli innalzò subito, in quello stesso viaggio, il giovane agli onori divini? Forse per ricompensarlo di un sacrificio voluto e quindi quasi per scagionarsi di una terribile colpa, soffocando così il suo rimorso? È naturalmente solo un sospetto, ma c’è da chiedersi comunque se egli sapesse della volontà del giovane.
Si pensa che la morte di Antinoo sia avvenuta il 30 ottobre, perché Antinoe fu fondata (Chron. Alexandr. 254) proprio in quel giorno. Recentemente è stata avanzata l’ipotesi, da E. De Miro che il giorno fosse il 22 ottobre, giorno della festa dei “Neiboa”, per permettere ad Adriano di rinascere in un corpo più giovane. Forse questa festa aveva a che fare con un’altra più famosa detta Heb-Sed, o festa “giubilare”, o “festa del cane” (verosimilmente perché il re indossava la pelle di tale animale), una cerimonia che veniva celebrata dagli antichi Re egiziani al compimento del loro trentesimo anno di regno. Si ritiene che essa derivi dall’antichissima usanza, risalente al periodo protodinastico, di mettere a morte il re quando questi, data l’età avanzata, non fosse più stato in grado di difendere il proprio popolo. La cerimonia, perciò, doveva servire al regnante per dimostrare la sua ancor valida vigoria fisica. Nel recinto della piramide a gradoni d
i Re Djoser (III Dinastia), a Saqqara si trovano due strane costruzioni a forma di lettera “B” che si ritiene costituissero una sorta di “mete” tra cui il re doveva eseguire una corsa rituale. In occasione della festa Heb- Sed il re, pertanto, si “rigenerava” riacquistando il proprio vigore; successivamente, la festa veniva ripetuta con cadenza non periodica. Benché non certo, lo sviluppo effettivo della cerimonia durava circa due mesi ed era suddivisa in tre fasi: nella prima veniva ripetuto il cerimoniale di incoronazione; nella seconda aveva ampio ruolo la famiglia del sovrano; nella terza veniva eretto il pilastro djed simbolo di eternità. Alcuni sovrani celebrarono la Heb Sed anche prima dei trent’anni di regno. In effetti esiste un tipo di ritratto adrianeo giovanile, anche se eseguito in età avanzata, che può forse avvalorare tale ipotesi. Assieme ad una testa di Adriano di età matura, in marmo, dal 1787 proprietà della zarina Caterina II, si conse
rva al Museo dell’Ermitage a San Pietroburgo un bel busto di Adriano giovane, un tempo confuso come ritratto di Eliogabalo. Il busto è nudo e con una clamide appesa sulla spalla sinistra. Quest’ultima caratteristica, dovuta ad un desiderio di elevazione eroica, è anche presente in un busto, proveniente dall’Olympieion ed oggi al Museo Nazionale di Atene. Tipologicamente del tutto indipendente dalla ritrattistica ufficiale, questo bellissimo marmo unisce alla morbidezza del modellato e ai caldi toni chiaroscurali, la ravvivata spiritualità dello sguardo. Straordinariamente simile è pure un busto oggi ai Musei Capitolini, databile ai primissimi anni di impero di Adriano. Si è parlato al riguardo di un Adriano renatus, cioè una rappresentazione idealizzata di Adriano sotto l’aspetto di un giovane eroe. Il tipo è stato individuato grazie ad una serie di aurei databili tra il 136 e il 137 d.C., raffigurante Adriano con tratti giovanili, malgrado l’età avanzata.
Si tratterebbe dell’imperatore “rinato” dopo la morte di Antinoo e non a causa della morte di Antinoo, oppure iniziato ai Misteri Eleusini per la seconda volta (la siglia REN è in una serie di cistofori emessi dopo il 128 d.C, e comunque prima della morte di Antinoo, anno in cui l’imperatore ottenne quella seconda iniziazione). Pertanto le ipotesi che Antinoo si sia suicidato per amore oppure che sia stato sacrificato dallo stesso imperatore per un suo ringiovanimento non convincono.
Si potrebbe, dunque, ritenere che voci circolanti tra i contemporanei, smentite dallo stesso sovrano, avessero interpretato l’annegamento nel Nilo di Antinoo come un rito sacrificale compiuto per propiziare una “rinascita” di Adriano; voci queste accreditate dall’adesione, alcuni anni prima, da parte dell’imperatore ai Misteri Eleusi. Credo che questa, più che il riferirsi a riti egizi di rinascita dei faraoni, del resto ormai abbandonati da secoli, possa essere stata la causa di questa infamante accusa ben presto circolata negli ambienti, anche di corte, ostili all’imperatore. La parola RENATUS coglierebbe, quindi, un nesso fra culto salvifico e recuperata giovinezza, forse anche con il beneficio della morte, certamente non voluta, accidentale o meno di Antinoo, a sua volta adepto, assieme all’imperatore, degli stessi Misteri. Un sesterzio della zecca di Roma, inoltre, databile tra il 125 d.C. e il 128 d.C., presenta l’immagine dell’imperatore con una coro
na di spighe, simbolo eleusino per eccellenza, con evidente riferimento alla prima iniziazione, avvenuta nel 124 d.C. – 125 d.C. Nel 128 d.C. Adriano raggiunse ad Eleusi l’“epoptìa”, ovvero il grado più alto dell’iniziazione ai Misteri. Qui, nella moneta, Adriano è raffigurato, quindi, come “epoptès”, togato e recante le spighe di Demetra sul rovescio; l’immagine di Augusto, sul diritto, anch’egli ammesso a suo tempo alla seconda iniziazione, non solo sottolinea il valore dello stato religioso acquisito, ma sul piano più strettamente politico esplicita una affinità di ideali e di scelte con il primo grande imperatore, resa più pregnante dalla comune esperienza misterica. Benché ci sia ignoto il significato specifico della palingenesi connessa ai riti eleusini, non è arbitrario richiamare (Kaibel, Epigr. Gr., 863) alcuni versi dell’epigramma funebre della sacerdotessa che aveva iniziato l’imperatore Adriano. Secondo le parole della ierofante egl
i è “… signore della terra sterminata e non vendemmiata, principi dei giorni infiniti…”. Il linguaggio necessariamente metaforico indica la nuova dimensione a cui l’iniziato è stato introdotto: il dominio dello spazio e del tempo porta ad una sfera atemporale in cui acquista significato compiuto l’immagine di un Adriano “giovane”. L’imperatore
viene così rappresentato come un giovane eroe, lasciando trapelare attraverso l’immagine un criptico accenno al contenuto esoterico del culto di Eleusi. Nel testo della Historia Augusta, oltre a far riferimento, riguardo alla iniziazione di Adriano, ad una precedente di Filippo il Macedone, di cui però non vi è altra testimonianza storica, si cita quella di Ercole, che il mito racconta aver raggiunto, subito dopo l’iniziazione, la Spagna, la terra natale di Adriano. Adriano, dunque al momento dell’iniziazione, si pone come nuovo Ercole, con una scelta connotata anche politicamente, essendo egli stato il figlio adottivo di Traiano, anche lui assimilatosi in vita allo stesso eroe. L’identifocazione AdrianoEracle, pari a TraianoEracle avrebbe dovuto sancire definitivamente il diritto alla successione da parte di Adriano, su cui molti dubbi erano stati sollevati sia al momento di quella adozione sia successivamente.
Questo nuovo ritratto di Adriano potrebbe anche avere questo significato ulteriore (l’aspetto un po’ erculeo del ritratto, vedi la corta barbula sino al mento, lo dimostrerebbe), considerato che le emissioni della serie monetale che associano al rovescio i ritratti dei genitori adottivi (Traiano e Plotina) si riferirebbero alla designazione da parte di Adriano del proprio successore Elio Vero, a riaffermare quindi, con la legittimità della propria ascesa all’impero, quella dell’erede prescelto, proprio dopo la morte di Antinoo. Il più famoso di questi ritratti di un Adriano “rinato” proviene da Villa Adriana ed è conservato nel suo Antiquario, inv. n. 2260.
Eppure esistono delle fonti contemporanee alla morte di Antinoo e forse su queste si potrà basare una nuova, e più interessante ipotesi, su quella morte e successiva divinizzazione.
Prima di tutto va ricordato l’obelisco pinciano che nella facciata II A, così indicata da Grenier, così parla di Antinoo: Egli era diventato un efebo dal bel viso, dagli occhi gioiosi, dalla forza e dal cuore intrepido come quello di un uomo dalla braccia vigorose. Dell’aspetto fisico di Antinoo non si dice altro e neppure delle vere motivazioni della sua morte, affermando solamente: quando egli ricevette l’ordine degli dei che fissarono così il momento della sua morte.
Dal Papiro Oxy.1085, II, vv 1-25, in cui è riportato il poema di Pancrate “Le cacce di Antinoo”, scritto in onore del fanciullo divinizzato e che fece ottenere all’autore, come ricompensa da parte di Adriano, la direzione del Museo di Alessandria.
Più rapido del destriero di Adrasto che una volta salvò con facilità il suo padrone quando fuggiva attraverso la mischia. Su un tal destriero Antinoo aspettava il leone assassino d’uomini. Nella sua mano sinistra teneva la briglia, nella sua destra una lancia solidamente lavorata.
Adriano era stato il primo a lanciare la sua lancia dalla punta di bronzo; egli lo ferì ma non lo uccise perché era sua intenzione mancare l’animale, sperando di mettere a prova la sicurezza del colpo del figlio dell’uccisore di Argo (Antinoo è Hermes che uccise Argo e Adriano Zeus che glielo ordinò) il suo amatissimo Antinoo. Ferita, la belva era ora più inervosita; con le sue zampe sollevava la sabbia rossa nella sua collera; una nube di polvere si alzava e velava la luce del sole ; grondava sudore come l’onda del mare ondoso quando dopo il vento dello Strymon, si sveglia il vento Zefiro. L’animale si avventò dritto su di loro (Adriano e Antinoo) sbattendo la sua coda sulla groppa e sui fianchi mentre i suoi occhi, sotto le sue sopraciglia, gettavano lampi di un terribile fuoco; lasciò cadere a terra un fiotto di bava stridendo i denti: sulla sua testa massiccia e sul suo collo la criniera si alzava e vibrava; sulle sue altre membra si era rizzato come dei ra
mi su di un albero. Sul suo dosso s’era… come punte di lance affilate.
I versi successivi (24-25) ci dicono che il leone si avventa solo su di Antinoo, come il capo dei Giganti Tifone, si avventò contro Zeus (qui Adriano è di nuovo paragonato a Zeus e chiamato “dio illustre).
Il testo dunque dopo aver elogiato il cavallo di Antinoo e la sua velocità, elemento importante in una simile caccia, raffigura Antinoo fermo mentre attende l’assalto della belva. A differenza di Ateneo (XV, 77, d-f) che afferma, seguendo un luogo comune sulla regalità della caccia al leone di origine orientale, Adriano essere stato l’uccisore del leone, vicino Alessandria d’Egitto, è evidente che l’imperatore ha appositamente lasciato il colpo mortale verso la belva proprio ad Antinoo.
I versi seguono dal 26 al 31: la loro traduzione è la seguente:
“avendo visto il nemico gettarsi rapidamente […
sul suo cavallo, Antinoo […
gli ruppe la base del collo
e i muscoli della nuca e ruppe tutto […
affinché cadesse immediatamente a terra […
del dio uccisore delle belve […”
Ateneo, nel passo già citato, si riferisce proprio all’opera di Pancrate che scrisse il poema “Le cacce di Antinoo”, affermando che dal sangue del leone ucciso nacque un fiore di colore rosa. Ecco una traduzione del testo di Ateneo:
Parlando di Alessandria io so che in questa città una ghirlanda di fiori vi è chiamata Antinoeios, fatta con il loto che porta questo nome. Il lotto sboccia nelle paludi durante l’estate. È di due colori. Uno assomiglia alla rosa ed è con questo che viene intrecciata la ghirlanda propriamente chiamata Antinoeios. L’altro chiamato più propriamente lotus ha un colore blu. Pancrate, un poeta di queste regioni di cui abbiamo già parlato (XI, 478), presentò all’imperatore Adriano quando soggiornò in Alessandria il loto rosa come una gran meraviglia. Affermò, che questo loto fosse quello chiamato Antonoeius dopo che, secondo quel che disse, apparve direttamente dalla terra quando ricevette il sangue del leone di Mauritania che Adriano aveva ucciso (?) quando cacciava in Libia dove questo leone aveva reso molti luoghi inabitabili. Adriano dunque felice di questa idea originale e nuova, gli accordò il privilegio di poter accedere (come bibliotecario) al Museo di Aless
andria. (…)
E’ così che Pantocrate nel suo poema dice non senza eleganza: il timo con i suoi ciuffi lanosi, il giglio bianco, il giacinto porpora, i fiori del fiordaliso, certi altri e la rosa che si schiude agli zeffiri della primavera sono da lungo tempo conosciuti (?,) ma mai prima, questo è sicuro, la terra aveva fatto sbocciare il fiore che porta il nome di Antinoo.
Ora, come afferma lo stesso Ateneo, facendolo derivare da Pancrate, il loto di Antinoo nasce nell’acqua e non sulla terra; come mai allora nacque a terra dal sangue del leone?
Proseguiamo però con ordine; riprendendo il testo direttamente da Pancrate e cioè i versi mutilati 30-40: questi descrivono l’agonia del leone che quindi muore e non raggiunge l’acqua. Chi allora può aver raggiunto l’acqua? La domanda è d’obbligo.
A questo punto viene in nostro soccorso un nuovo testo tratto da un papiro P.Oxy. 4352. Vi sono frammenti di un lungo poema in esametri (forse 150 versi) riguardanti Antinoo durante la celebre caccia al leone (di cui solo gli ultimi versi sono ben conservati (fr. 5, II, vv.1-17); in modo abbastanza inatteso dal verso 18 al verso 50 vi è un elogio dell’imperatore Diocleziano.
Alla narrazione, sempre più sintetica man mano che dalla (presumibile) descrizione della caccia si passa alla catarsi del protagonista, seguono ventidue versi conclusivi con cui il poeta elogia l’imperatore, il prefetto d’Egitto e un ‘procuratore dei Sette Nomoi’ e chiede per sé la vittoria, evidentemente in un agone poetico svoltosi intorno al 285 d.C., quando Diocleziano era in Egitto.
Il poeta – forse per riservare maggior spazio alla lotta col leone, forse per omettere un elemento spiacevole e meno utile ai fini celebrativi – descrive la fine di Antinoo con particolare brevità, evitando di menzionarne esplicitamente la morte: così all’annegamento si limita ad alludere dicendo che Antinoo ‘si diresse al Nilo e la Luna lo prese con sé come suo sposo’, e l’episodio, che secondo Elio Sparziano Hadr. 14.5 avvenne dum per Nilum navigat (scil. Hadrianus), è anticipato direttamente alla conclusione della caccia, così da inscriverlo nell’atmosfera trionfale di quest’ultima.
Uno degli aspetti rilevanti di questo testo è la prova di come la morte di Antinoo continuasse ad interessare anche a più di un secolo e mezzo di distanza, e quindi di come sia opportuno abbandonare la prassi sinora invalsa di attribuire ogni papiro anonimo sull’argomento al Pancrate ricordato da Ath. 15, 677f (GDRK XV 3).
Diamo per scontato che la caccia sia già finita con l’uccisione del leone: è da qui che i versi riprendono (1-17)
Affascinata ella ebbe l’idea di dare un sostituto al nome di Antinoo
ricordo di una caccia, corona di una vittoria.
Ho pietà Narciso della tua forma simile a un’ombra.
Verso una lacrima sul Giacinto a causa del suo disco crudele
E deploro la caccia […?…]
Ma le terre umide di Antinoo […?…]
Né la fontana né il disco funesto né […?…]
Le Ninfe si misero a coronare i loro boccoli del fiore nato da Antinoo
Che ormai conserva la lancia vigorosa del cacciatore.
Si era affrettato verso il Nilo per lavarvi il sangue leonino,
Ma Selene, avvenire più eclattante,
Lo promosse a un rango in cui brillò come un astro, suo sposo,
E circondandolo di un alone, fece della nuova luce il suo marito.
Adriano offrì una città e il Nilo un’isola.
L’una si staglia ricca in grappoli, lungo il suo vicino fecondo,
L’altra […?…] il fiore di Acaia
È circondata da porti che ne fanno la più splendida nella pianura
Analizzando questi versi si può così riassumere:
vv.1-2= un personaggio femminile, forse Selene nominata più avanti (Selene è la dea Luna, Artemide-Diana, la dea Iside sposa di Osiride), è felice di poter rendere immortale Antinoo come cacciatore vittorioso, poiché è stato proprio lui ad uccidere il leone;
vv.3-7= si allude a Narciso (narciso), a Giacinto (giacinto), ad Adone (anemone) in occasione della nascita del fiore nuovo, il loto certamente; si parla di terre bagnate dall’acqua;
vv. 8-9: le Ninfe si coronano il capo con questo fiore nuovo, che nella forma aguzza dei suoi petali ricorda le lance della caccia fatale ( negli altri loti non vi è questa particolarità)
v. 10: il verso fa pensare che Antinoo sia precipitato nel Nilo per lavarsi del sangue dell’animale che aveva ucciso (una straordinaria e nuova ipotesi sulla morte di Antinoo?; fra tutte, ovviamente, la più credibile): è questa dunque l’ipotesi recentemente avanzata dall’insigne egittologo Jean-Claude Grenier);
vv. 11-13= la dea Selene pensa di unirsi ad Antinoo e lo trasforma in una stella o i9n una costellazione;
vv. 14-17: il nuovo sposo riceve dei regali: Adriano gli intitola una città, il Nilo gli offre un’isola )per gli Egizi la parola isola indicava una terra bagnata dal Nilo ; la città di Antinopolis, ricca di vigne e di vino, si estende lungo il Nilo; l’isola è circondata da porti.
Qualcuno ha visto in questi versi un poema diverso da quello di Pancrate, scritto iun occasione della venuta di Diocleziano in Egitto tra il 297-298 d.C. o 295-297 d.C.. Comunque si può affermare che questo poema non può non essersi ispirato a quello di Pancrate di Alessandria.
Antinoo, giunto al Nilo per lavarsi del sangue del leone ucciso, muore e viene divinizzato in una stella dalla dea Luna-Selene. Comunque la dea si serve di una morte che appare del tutto accidentale e non voluta.
L’unione cosmica Antinoo-Diana-Artemide-Luna è archeologicamente confermata in un santuario a Lanuvio da una celebre iscrizione (CIL XIV, 2112). Diana è inoltre la dea della caccia e in questo caso è quanto mai appropriata.
Si potrebbe pensare che l’episodio della caccia e della presunta morte per annegamento di Antinoo sia avvenuta di sera, con la luna piena?
Il soggiorno di Adriano ad Alessandria avvenne tra luglio e settembre del 130 d.C. (egli lasciò l’Egitto nella primavera del 131 d.C.). Da analisi astronomiche si osserva che il plenilunio poteva essersi svolto tra la sera del 6 agosto e la sera del 5 settembre.
Il Cronicon Paschale (I, 2,23) fissa al 30 ottobre la nascita della città di Antinopolis: ed è per questo che è stata fissata questa data per la morte di Antinoo; tuttavia questa nascita della città viene collocata, incredibilmente nel 122 d.C., cioè molto prima del viaggio di Adriano in Egitto (sicuramente nel 130 d.C.). Forse Dione Cassio sbaglia a situare la morte di Antinoo ad Antinopolis: nulla esclude che sia stata una estrapolazione tardiva dello scrittore o di un cronista troppo affrettato; e sarà poi questa ipotesi ad affermarsi sino ad oggi. Adriano scelse questa città anche per un programma ben più ampio di nuova ellenizzazione dell’Egitto, specialmente dopo la costruzione della Via Nova Hadriana verso il Mar Rosso inaugurata nel 137 d.C..Occorreva creare una città con un nome nuovo, basato su quello di un nuovo dio: non fu certamente questa dui Antinopolis una fondazione per così dire “passionale”. Non potrebbe essere accaduto che il “Cronicon”
abbia confuso due date: quella del 122 d.C., data della decisione dell’imperatore di fondare in Egitto una nuova città a partire da un centro urbano preesistente e nel 30 ottobre del 130 d.C., quando l’imperatore passò sul sito, dopo la morte di Antinoo, abbia provveduto ad espletare direttamente la sua idea di vera fondazione? I giochi in onore di Antinoo detti “Antinoea” iniziarono a partire dal 27-28 novembre del 131 d.C., proprio in occasione dei natali del fanciullo ma ben un anno dopo la sua morte. Ad Antinopolis è attestato un tempio dell’epoca di Ramses II e in epoca romana un tempio ad Horus.
Come si può osservare qualcosa di nuovo si sta scoprendo su questa misteriosa morte, che andrebbe collocata forse nei mesi estivi, forse sul finire di quell’estate, in un ignoto luogo sulla riva del Nilo nei pressi di Alessandria d’Egitto.
Prof. Raffaele Mambella