Milano, 31 gen.
(Adnkronos Salute) – Dimenticate il cancro al polmone, al seno o alla prostata: la sua denominazione dovrebbe cambiare. A chiedere una riflessione sul nome dei tumori è un gruppo di esperti dalle pagine della rivista 'Nature'. E' non è una questione di 'toponomastica'. Secondo gli autori, specialisti e ricercatori dell'istituto francese Gustave Roussy, nell'era delle target therapy e della profilazione molecolare delle neoplasie, il modo convenzionale di classificarle, quando metastatiche, in base al loro organo di origine, rischia di negare alle persone l'accesso ai farmaci che potrebbero aiutarle.
Nel secolo scorso i due principali approcci al trattamento delle persone affette da cancro – chirurgia e radiazioni – si sono concentrati sulla sede del tumore nell'organismo. Questo ha portato gli oncologi medici e altri operatori sanitari, le agenzie regolatorie, le compagnie assicurative, le aziende farmaceutiche – e i pazienti stessi – a classificare i tumori in base all'organo in cui avevano avuto origine.
Tuttavia esiste una crescente disconnessione tra questa classificazione e gli sviluppi nell'oncologia di precisione, che utilizza appunto la profilazione molecolare delle cellule tumorali e immunitarie per guidare le terapie.
Più di dieci anni fa, ad esempio, alcuni ricercatori negli Stati Uniti hanno dimostrato in uno studio clinico che il farmaco nivolumab può migliorare gli esiti in alcuni individui affetti da cancro. Lo studio includeva persone con diversi 'tipi' di cancro (come convenzionalmente definiti), dal melanoma al cancro del rene. Nivolumab ha ridotto i tumori di alcune persone di oltre il 30%, ma ha avuto poco o nessun effetto sui tumori di altre.
Nivolumab ha come target Pd1, recettore di una proteina chiamata Pd-L1, che aiuta le cellule tumorali a sfuggire all'attacco del sistema immunitario. Dei 236 partecipanti allo studio valutati, 49 hanno risposto positivamente al trattamento. Il fattore determinante era se le loro cellule tumorali esprimessero o meno alti livelli di Pd-L1.
Il passo logico successivo sarebbe stato quello di condurre studi clinici che testassero gli effetti di questo e altri inibitori di Pd1 in persone con tumori metastatici che esprimono fortemente Pd-L1, indipendentemente dall'organo in cui il cancro aveva avuto origine, ripercorrono gli esperti.
Ma seguendo il modo in cui i tumori vengono classificati – al seno, ai reni, ai polmoni e così via – i ricercatori hanno dovuto condurre studi clinici in sequenza per ciascun tipo di neoplasia. Per circa un decennio, si legge nell'articolo, milioni di persone con tumori che esprimevano alti livelli di Pd-L1 non hanno potuto accedere ai farmaci pertinenti perché i trial non erano ancora stati condotti per il loro tipo di cancro.
Le pazienti con determinati tumori al seno o ginecologici che esprimevano Pd-L1 hanno dovuto attendere 7-10 anni per accedere ai farmaci in questione.
Una storia simile si è verificata con la maggior parte dei farmaci testati negli studi clinici negli ultimi 10 anni, evidenziano gli autori citando anche gli inibitori Parp, che uccidono le cellule tumorali portatrici delle mutazioni nei cosiddetti geni 'Jolie', Brca1 e Brca2. È ormai noto che queste mutazioni si verificano in molteplici 'tipi' di tumore come convenzionalmente definiti, non solo nel cancro al seno, ricordano.
E aggiungono ancora: i tumori metastatici rappresentano circa il 67-90% dei decessi per cancro e sono quasi sempre trattati a livello sistemico, con farmaci che entrano nel flusso sanguigno. "Per migliorare i trattamenti per queste persone, si deve urgentemente passare dall'uso delle classificazioni del cancro basate sugli organi a quelle molecolari – chiedono i ricercatori – E questo richiederà cambiamenti radicali nel modo in cui l'oncologia medica è strutturata, condotta e insegnata".
Va anche migliorato l'accesso ai test molecolari, evidenziano, e "garantire che tutti i pazienti con diagnosi di cancro metastatico ricevano test molecolari significa ridurre i costi di tali test. Attualmente, l'approccio costa circa 3.000 dollari per test negli Stati Uniti e circa 1.000 dollari in Europa". L'attuale modo di classificare il cancro incide su molteplici aspetti. "In alcuni Paesi i pazienti non vengono rimborsati se assumono farmaci che sono stati testati in studi in cui i tumori non sono definiti dall'organo da cui hanno avuto origine – segnalano per esempio gli esperti – La maggior parte delle società scientifiche di oncologia, come l'American Society of Clinical Oncology (Asco) e la European Society of Medical Oncology (Esmo), pubblicano le loro linee guida in base all'organo di origine.
Gli ospedali hanno reparti per il cancro al seno, ai polmoni e così via. Questo attaccamento alla classificazione del cancro per organo di origine sta bloccando il progresso in molti modi".
"Va contro la comprensione scientifica che sta emergendo oggi", incalzano gli specialisti. Per fare un esempio, alcuni tumori polmonari presentano mutazioni nel gene Egfr, alcuni presentano mutazioni nel gene Met, altri presentano traslocazioni che coinvolgono il gene Alk e così via.
"Quando gli enti regolatori devono approvare l'uso dei trattamenti, è probabile che le classificazioni su base molecolare diventino sempre più importanti man mano che sempre più farmaci vengono sviluppati utilizzando biotecnologie avanzate", prospettano gli esperti. "Nei prossimi anni e decenni, numerosi 'livelli' di informazioni potrebbero essere incorporati in caratterizzazioni complete del cancro che siano uniche per ciascun paziente, e questo aprirà a cure sempre più personalizzate. Classificare i tumori in base alle loro caratteristiche molecolari – concludono gli autori – accelererebbe l'accesso di milioni di persone a trattamenti efficaci; è anche il primo passo verso l'oncologia di precisione e una comprensione biologica più profonda del funzionamento del cancro".