Roma, 27 set. (Adnkronos Salute) – “Tornare al lavoro, per le donne con tumore al seno metastatico, è possibile e notevolmente auspicato. L'obiettivo delle cure infatti è migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita delle pazienti rendendola il più possibile normale anche dal punto di vista relazionale. Il rientro al lavoro, ha un impatto psicologico estremamente forte e importante, e oggi è possibile grazie a terapie innovative, spesso orali, da assumere a casa, e che permettono di cronicizzare la malattia tumorale con un prolungamento significativo della sopravvivenza e quindi, con evidenti effetti positivi anche sulla qualità di vita e sul benessere della paziente”. Così Carmelo Bengala, direttore Uoc Oncologia medica 1, Azienda ospedaliera universitaria Pisana, descrive la prospettiva di un ritorno completo alla normalità, per una malattia che è diventata curabile con meno effetti collaterali e tempi di efficacia più rapidi e prolungati.
“La storia naturale della malattia è cambiata in questi anni – continua Bengala – Dai dati della letteratura sappiamo che, in Italia, il 66% delle donne con tumore mammario può guarire: sono quasi 2 donne su 3. Il carcinoma mammario metastatico è una patologia complessa, con caratteristiche biologiche differenti in termini di aggressività e di curabilità. Ci sono inoltre delle forme con un interessamento diffuso degli organi e forme, invece, molto più frequenti, che si limitano a livello di singoli organi e tessuti. L'innovazione diagnostica e successivamente terapeutica, ha portato allo sviluppo di farmaci specifici per i tumori ormonosensibili, per quelli cosiddetti triplo negativi e per i tumori che iperesprimono una proteina, la Her2, inclusi i tumori a bassa espressione di Her2”.
Questi trattamenti innovativi “permettono una terapia a bersaglio molecolare – precisa l’oncologo – con farmaci che si legano a molecole e recettori specifici delle cellule del tumore mammario, incrementando notevolmente l'indice terapeutico, quindi incrementando l’efficacia e riducendo la tossicità e con riduzione del rischio di progressione di malattia”. A tale proposito, “un altro aspetto di particolare impatto è la capacità dei nuovi trattamenti di ridurre il rischio di recidiva anche nelle donne a cui è stata diagnosticata la malattia in una fase iniziale”. All’ultimo congresso della Società americana di oncologia (Asco), “sono stati presentati i risultati di farmaci veicolati attraverso anticorpi monoclonali che riconoscono il recettore della cellula tumorale, si legano al recettore cellulare e rilasciano il farmaco. Questo meccanismo d’azione – chiarisce – ha aumentato notevolmente l'efficacia riducendone appunto la tossicità, cambiando di fatto la storia della malattia. Tutti questo è a vantaggio della qualità di vita delle pazienti: poter cronicizzare la malattia, con il mantenimento prolungato di una risposta al trattamento, per anni, le donne, spesso giovani, quindi molto attive, possono mantenere una vita il più possibile normale”, compreso il ritorno al lavoro.
Le nuove terapie pongono una nuova sfida per l’oncologo: “riuscire a trasmettere alla paziente questa consapevolezza perché diventi anche sua”. Serve un cambio di mentalità. A a volte si fa fatica a prospettare il “ritorno al lavoro”, ma “anche il ritorno a un'alimentazione normale, senza particolari restrizioni” anche grazie agli “effetti collaterali ridotti dei farmaci. Si tratta di cercare di far sentire la paziente meno ammalata di quanto lei sostanzialmente percepisca – sottolinea l’esperto – e questo passa attraverso la comunicazione. Al di là delle nozioni scientifiche sull'efficacia dei farmaci, è importante parlare alle pazienti anche di questo aspetto relativo al benessere, al ritorno alla vita, alla normalità relazionale, affettiva e lavorativa. Tutto questo deve entrare nella nostra pratica clinica”.
La stessa recidiva di un carcinoma della mammario metastatico, “che può presentarsi dopo alcuni anni dall'intervento chirurgico in una singola sede, molto limitata, o in più sedi – spiega Bengala – con le nuove terapie può essere affrontata, in entrambe i casi, con risposte rapide, e quindi una regressione della malattia. Nel caso di interessamento dello scheletro potrebbe essere necessaria una terapia del dolore di supporto, ma sin dai primi mesi di trattamento, la donna può riprendere una vita normale, anche lavorativa. Certo non si evitano possibili evoluzioni successive della malattia, ma la sopravvivenza in assenza di progressione della malattia è estremamente prolungata, con tempi più che raddoppiati con i nuovi trattamenti, rispetto ai vecchi. Questo tempo di vita in più è particolarmente prezioso perché, grazie alla velocità della ricerca, apre alla prospettiva dell’arrivo di nuove opportunità terapeutiche”.
La ricerca, inoltre, “è importante perché dà la possibilità alle pazienti, in caso di tumore resistente alle terapie, di entrare negli studi clinici e accedere così già a terapie che sono in sperimentazione – evidenzia l’esperto – Chiaramente questa opportunità si ha solo nei centri di alto livello specialistico, nelle Breast unit dove c’è una presa in carico del percorso terapeutico multidisciplinare, sia per gli aspetti prettamente oncologici che psicologici – sembra un paradosso, ma le donne a volte hanno paura di rientrare al lavoro – che nell’essere coinvolte in studi clinici e anticipare l’accesso a nuovi trattamenti. Non vogliamo dare false speranze, ci sono comunque degli effetti collaterali, degli esami a cui sottoporsi – conclude Bengala – ma è possibile il recupero di una certa normalità, specie se le pazienti sono motivate. In questo, un ruolo importante è riservato all’oncologo, lo psiconcologo, ma anche ai familiari: sostenere la donna nella motivazione a curarsi è fondamentale”. Approfondimenti sul tema sono disponibili nel sito ‘E’ tempo di Vita’, etempodivita.it