Treviso, 07 gen. – (Adnkronos) – “Finora non abbiamo mai parlato con gli investigatori, né col procuratore di Treviso. A distanza di sette mesi però ci sentiamo presi in giro e vogliamo sapere a che punto sono le indagini. E poi perché tutti questi esami, come il tossicologico che tarda da mesi, solo per Alex e non per tutti gli altri che hanno partecipato allo stesso rito? Nemmeno un test è stato richiesto per loro” si domandano Sabrina e Luca Marangon, i genitori di Alex Marangon il 25enne di Marcon (Venezia) ritrovato morto nel luglio scorso sul Piave, dopo aver partecipato a un rito sciamanico a base di ayahuasca nell’abbazia di Vidor (Treviso), ma per il quale la procura trevigiana mantiene aperto un fascicolo per omicidio volontario a carico di ignoti. Nella lunga intervista in diretta andata in onda stasera sull’emittente Antenna Tre, i genitori non hanno nascosto di avere più di qualche dubbio sulla bontà della conduzione delle indagini già a partire da quella domenica mattina del 30 giugno in cui fu dato l’allarme della scomparsa del ragazzo.
“L’abbazia non è stata sigillata, non è stata chiamata la Scientifica per raccogliere ed esaminare eventuali prove, non sono state trattenute le persone, quelle poche che quella mattina erano forse ancora recuperabili perché erano scappati tutti. I carabinieri ci hanno risposto: ‘sono tutti maggiorenni’ e basta. Noi quella mattina siamo arrivati là sul tardi, ma forse chi era arrivato prima poteva fare qualcosa in più” raccontano i genitori. Che sono sempre più convinti che tutti gli altri partecipanti, nelle 4 ore fra la scomparsa di Alex e la prima chiamata alle forze dell’ordine, si siano accordati su una versione di comodo, mentre rimettevano tutto in perfetto ordine e stato nella chiesa dove si era svolto il rito sciamanico con i due curanderos colombiani.
“Una bella messinscena, come hanno fatto due giorni dopo facendoci ritrovare il materassino di Alex con tutto buttato sopra alla rinfusa: non era da lui. Pensavano che noi genitori non sapessimo nulla. Invece Alex, anche tramite sua sorella Giada, ci raccontava tutto e sapevamo dell’ayahuasca e delle punture di veleno di kambo in programma quel weekend con i colombiani che, non a caso, costava 400 euro” raccontano. Poi mostrano una foto scattata poco prima dell’inizio del rito, dove si vedono disposte in cerchio dentro la chiesa i 20 materassini dei partecipanti con accanto i secchi per vomitare e le bottigliette di ayahuasca: al centro c’è l’organizzatore, il musicista Andrea Zuin: “Tutto materiale che avrebbe potuto essere sequestrato per essere poi analizzato” spiegano i genitori di Alex che hanno raccontato anche di aver parlato con un partecipante di quella notte che smentirebbe la versione sempre fornita da Zuin: “Ci ha detto che solo un gruppetto di 4 o 5 persone è uscito dalla chiesa per cercare Alex, tutti gli altri sono rimasti dentro. Lui aveva notato che mancava Alex e gli altri quattro ed era uscito per chiedere cosa fosse successo, ma Zuin gli ordinò ‘vai dentro’ e lui invece di insistere gli obbedì”.
Stefano Marcon è sicuro che Alex sia stato ucciso nell’abbazia – “probabilmente con qualcosa tipo una mazza da baseball, non certo per annegamento” – e che il corpo sia stato fatto ritrovare sull’isolotto del Piave quattro giorni dopo con l’intento di depistare le indagini e distogliere l’attenzione dalla ‘setta dell’abbazia di Vidor’. “Dove quella sera c’era gente importante e di una certa posizione – dice – tanto che Alex era uno dei più giovani. Nella chat di Telegram che usavano per gli appuntamenti c’erano ben 160 iscritti, ma è stata prontamente cancellata e ora è irrecuperabile”. “Sappiamo che c’è gente che quella sera c’era e che sa come sono andate davvero le cose, ma che non si fa avanti e non parla per paura di compromettersi a causa dell’ayahuasca, delle sostanze allucinogene e forse anche della cocaina che qualcuno potrebbe aver dato a forza a mio figlio quella sera” conclude la madre Stefania.