Milano, 27 giu. (Adnkronos Salute) – In questo strano inizio d'estate, con l'Italia spaccata in due dal meteo, Covid sembra rialzare la testa. Un aumento dei casi che, secondo gli ultimi dati ufficiali, riguarda la maggior parte delle regioni ed è particolarmente evidente nel Lazio. Tornano dunque attuali antiche domande: fare il test oppure no? E se sì, quando? L'esame rapido è affidabile? E come comportarsi in caso di positività? Negli Usa uno studio dell'università di Colorado (Cu) di Boulder, pubblicato su 'Science Advances', cerca di fare chiarezza grazie a un nuovo modello matematico che offre indicazioni utili non solo per l'infezione da Sars-CoV-2, ma anche per altre malattie trasmissibili come l'influenza o il virus respiratorio sinciziale Rsv. E c'è un consiglio che salta all'occhio: in caso di sintomi sospetti, meglio aspettare 2 giorni prima di fare il test Covid.
"Per il Covid – sottolinea Casey Middleton, prima autrice del lavoro – abbiamo scoperto che, se si fa un solo test, per usarlo è preferibile attendere 2 giorni dalla comparsa dei sintomi. Perché prima è improbabile che il virus sia rilevabile". In altre parole, facilmente il test non produrrà un risultato affidabile. Al contrario, "per influenza e Rsv è meglio fare il test rapido quando si avvertono i primi sintomi", aggiunge Middleton, dottoranda del dipartimento di Informatica alla Cu Boulder, programma IQ Bio, che ha sviluppato il nuovo modello con l'autore senior Daniel Larremore, docente di Informatica presso il BioFrontiers Institute dell'ateneo.
A chi si chiede 'test Covid, sì o no?', quest'ultimo risponde convinto: "Se vuoi andare al club del libro o alla serata bingo con i nonni, testarsi è davvero una buona idea". Come a dire che anche oggi, archiviata l'emergenza pandemica, è sempre meglio sapere di essere stati infettati prima di entrare in contatto con persone fragili. Ciò premesso, "il Covid è cambiato – precisa Larremore – ogni variante si comporta in maniera diversa e diverso potrebbe essere il modo con cui interagisce con i test".
E infatti, quando insieme a Middleton ha inserito nel nuovo modello computazionale informazioni sulle varianti Omicron ormai ubiquitarie, sul comportamento dei pazienti e su altri fattori, si è visto che se un contagiato Covid viene sottoposto a test rapido immediatamente, ai primi sintomi, il falso negativo è quasi certo: l'infezione sfugge in una percentuale di casi che arriva al 92%. Aspettando 2 giorni i falsi negativi scendono invece al 70%. Se poi c'è la possibilità di fare un secondo test il terzo giorno, calano al 66%: un'infezione su 3 viene rilevata. Potrà sembrare poco, ma nella pratica è sufficiente: "Diagnosticare un terzo delle infezioni – assicura Larremore – può comunque ridurre sostanzialmente la trasmissione" di Covid. I test rapidi sono stati infatti progettati per intercettare i positivi con la maggior carica virale. I più contagiosi.
Le nuove varianti di Sars-CoV-2 – spiegano gli autori – considerando anche che la maggior parte delle persone ha ormai sviluppato un certo grado di immunità per Covid, si replicano un po' più lentamente rispetto al nuovo coronavirus originario. Accade pertanto che "i sintomi si manifestano prima, ma ci vuole più tempo perché nell'organismo venga raggiunta una carica virale tale poter essere rilevata" con il test rapido, puntualizza Middleton. Per l'infezione da Rsv e l'influenza, invece, il virus si moltiplica così rapidamente che già ai primi sintomi ce n'è abbastanza per far risultare positivo il test. Nasce quindi un altro dilemma, osserva Larremore: "Se ci si testa subito per tutto", cioè per Sars-CoV-2, virus influenzali e virus sinciziale, "potrebbe andare bene per influenza e Rsv, ma essere troppo presto per Covid"; all'opposto, "se si aspetta qualche giorno potrebbe essere il momento giusto per Covid, ma troppo tardi per influenza e Rsv".
Ipotizzando di aver centrato la finestra ideale e di avere in mano un test Covid positivo, che fare? Isolarsi sarebbe un gesto responsabile, ma per quanto tempo? "Supponendo di avere a disposizione abbastanza tamponi da ripetere a domicilio", gli autori dello studio suggeriscono che ricorrere alla vecchia "strategia del 'test di uscita'", quella che prevede di "eseguirlo nuovamente per decidere se tornare al lavoro e alla vita sociale, può prevenire più infezioni e con disagi minori" rispetto all'approccio dei "5 giorni di isolamento che fino a marzo era il consiglio standard dei Cdc" americani, i Centers for Disease Control and Prevention. "Questa politica ha costretto le persone a isolarsi troppo a lungo nella maggior parte dei casi", afferma Middleton. Meglio la strategia "test-to-exit", che "libera prima chi non trasmetterà più il virus, trattenendo in casa soltanto chi ha una carica virale alta".
La speranza di Larremore e Middleton è che il loro modello matematico possa aiutare le aziende a sviluppare test migliori per Covid, influenza e Rsv, i medici a consigliare meglio i pazienti e le autorità sanitarie – in caso di nuova pandemia – ad adottare una politica di test agile e basata sulle evidenze.