Tennis: Tomba, 'Sinner sembra Clark Kent che diventa Superman, mi piacerebbe sciare con lui'

Roma, 31 gen. - (Adnkronos) - "Lui è nato sulla neve e si allena al mare, io sono nato vicino al mare e ho scelto la neve. Siamo nati a rovescio?". Alberto Tomba comincia così a parlare di Jannik Sinner in un'intervista alla 'Gazzetta dello Sport'. Sono diversi...

Roma, 31 gen.

– (Adnkronos) – "Lui è nato sulla neve e si allena al mare, io sono nato vicino al mare e ho scelto la neve. Siamo nati a rovescio?". Alberto Tomba comincia così a parlare di Jannik Sinner in un'intervista alla 'Gazzetta dello Sport'. Sono diversi, ma entrambi rivoluzionari, in un certo senso, perché sono andati controcorrente rispetto alle abitudini della gioventù che cresce nei luoghi dove sono nati: Bologna e Sesto Pusteria. "Capisco la sua scelta -attacca il tre volte olimpionico di sci alpino- perché molto dipende dall’allenatore che incontri e che a poco a poco ti convince che quella è la strada che seguirai e che ti piacerà.

Non è solo l’ambiente, ma sono le persone che ti circondano che ti aiutano ad amare uno sport. Mio padre mi portava a Cortina a Natale e in estate sulla Marmolada. Lì ho incontrato Roberto Siorpaes che mi ha cambiato la vita".

"Il fatto buffo è che io avevo il campo da tennis nel parco di casa. Ci giochicchiavo, ma non avevo un maestro che mi faceva giocare ore e ore. Nessuno mi ha aiutato ad amare questo sport, perciò dico che Jannik ha incontrato anche le persone giuste, oltre alla famiglia che è sempre un grande stimolo.

Ai miei tempi il campione da seguire era Panatta, che con Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli aveva vinto la Davis. Lo stimolo ci sarebbe stato, ma mi avevano fatto sognare di più Thoeni, Gros e la Valanga Azzurra".

"L’emozione che si prova prima di una gara che dura poco più di un minuto è incredibile. La senti sulla pelle. Se guardi Jannik quando entra in campo, non ti dà l’impressione di essere agitato dentro.

Sembra impermeabile, quasi distratto, e questo può disorientare l’avversario -sottolinea Tomba-. Non so perché, ma mi ricorda Clark Kent, che poi si trasforma in Superman, cioè il suo alter ego, e comincia a lanciare bombe con il diritto, che demoliscono l’avversario. Medvedev è finito così, impallinato dopo l’illusione dei primi due set. Io, per sbriciolare la concentrazione degli avversari, in partenza scherzavo, giocavo per sdrammatizzare la tensione. Ma non era un comportamento studiato.

Ero solo me stesso".

Sinner viene da una valle dove si convive col silenzio, è normale quindi che sia così pacato, riflessivo, come era Stenmark, suo idolo e avversario. "Rispetto a Ingemar è un chiacchierone -ricorda il vincitore della Coppa del mondo 1994-1995-. È bello ascoltarlo quando parla. Sempre misurato. Rispetto a me lui ha una fortuna: è cresciuto negli anni dei social e ha un team che lo aiuta a maturare gradualmente e gli evita gli errori, che un giovane può commettere.

Io, a vent’anni, in pratica ero solo e mi muovevo in una specie di giungla sconosciuta. Raccontavo barzellette e inventavo delle rime. Non mi rendevo ancora conto quanto fosse complessa la popolarità che mi era piovuta addosso. Poi, quando ho avuto anch’io un team a disposizione, con Thoeni, Roda e D’Urbano, ho trovato un certo equilibrio".

"Con Jannik dovevamo incontraci a Torino per un caffè, poi a San Vigilio di Marebbe prima di Natale, ma sono stato poco bene.

Speriamo di trovare il tempo per sciare insieme, avrei piacere", aggiunge Tomba che poi trova delle similitudini tra lui e l'altoatesino. "Studia molto ogni avversario, non lascia nulla al caso. E sa anche giudicare se stesso, questo è importante. Solo in questo modo si correggono gli errori e si migliora. Guardate il suo terzo set della finale degli Australian Open, ha cambiato letteralmente marcia. Anch’io lo facevo qualche volta nella seconda manche.

Questo è possibile quando si studiano i particolari, la vittoria non arriva per caso". C’è qualcosa d’altro che vi accomuna? "Mi è piaciuto quando è andato ad abbracciare tutta la sua gente, il suo team dopo la vittoria. Io mi buttavo nelle braccia dei miei fan. E poi la dedica alla famiglia, che è la base di qualsiasi successo. La madre, il padre e i fratelli sono una magia".

Infine su Sanremo. "Non saprei dargli un consiglio se andare o no.

La popolarità è più difficile da gestire di quanto non sembri. Adesso ogni sua mossa sarà giudicata. Io, nel 1988, a Sanremo ci sono entrato sciando dal vivo nell’Olimpiade di Calgary, lui in che veste ci andrebbe? La sua presenza piacerebbe senz’altro, ma ci sarà sempre qualcuno pronto a storcere il naso".