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Strage di Fidene: la condanna di Claudio Campiti e le responsabilità istituzionali

Immagine della strage di Fidene e della condanna di Campiti

Un'analisi della condanna all'ergastolo per Claudio Campiti e le ombre sulle responsabilità civili

Il dramma di Fidene: una strage premeditata

Il , la comunità di Fidene, un quartiere di Roma, è stata scossa da un evento tragico che ha portato alla morte di quattro donne durante una riunione di condominio. L’autore della strage, Claudio Campiti, è stato condannato all’ergastolo dalla prima Corte d’Assise della Capitale.

La sentenza ha suscitato reazioni contrastanti, non solo per la gravità del reato, ma anche per le responsabilità civili che sono emerse durante il processo.

Le responsabilità civili e le reazioni delle vittime

Durante il processo, è emerso che il presidente della Sezione Tiro a Segno Nazionale di Roma è stato condannato a tre mesi di pena sospesa per omessa custodia dell’arma. Tuttavia, i ministeri dell’Interno e della Difesa, insieme all’Unione italiana tiro a segno, sono stati esclusi come responsabili civili. Questa decisione ha lasciato molti familiari delle vittime increduli e delusi. Silvio Paganini, uno dei sopravvissuti, ha espresso il suo sgomento per la mancanza di responsabilità istituzionale, affermando di sentirsi tradito dalle istituzioni.

Un piano omicidiario ben orchestrato

Il processo ha rivelato che l’omicidio era stato pianificato nei dettagli. Campiti, dopo aver ricevuto la convocazione per l’assemblea condominiale, aveva rubato un’arma dal poligono di tiro di Tor di Quinto. Con sé portava un arsenale impressionante, tra cui un altro caricatore e oltre 170 proiettili. I pm hanno descritto la scena del crimine, evidenziando come Campiti fosse entrato nel gazebo con l’intento di uccidere. La rapidità con cui ha agito ha lasciato pochi scampoli di speranza per le sue vittime.

Le falle nel sistema di sicurezza

Un aspetto cruciale emerso durante il processo è stata la mancanza di misure di sicurezza adeguate nel poligono di tiro. I rappresentanti dell’accusa hanno sottolineato che la struttura era sostanzialmente un colabrodo, permettendo a Campiti di allontanarsi indisturbato con l’arma. Questa situazione ha sollevato interrogativi inquietanti sulla gestione della sicurezza e sulla prevenzione di eventi simili. La mancanza di precauzioni adeguate ha reso possibile un evento che, secondo i pm, non era imprevedibile, dato che episodi analoghi erano già accaduti in passato.