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Sequestro di dispositivi informatici: il caso di Mohammad Abedini Najafabadi

Immagine del sequestro di dispositivi informatici nel caso Najafabadi

La custodia dei supporti informatici e le implicazioni legali per l'Iraniano

Il sequestro dei dispositivi informatici

Il 16 dicembre, durante l’arresto di Mohammad Abedini Najafabadi, ingegnere iraniano, le autorità italiane hanno sequestrato diversi dispositivi informatici, tra cui smartphone, tablet e chiavette USB. Questi supporti, custoditi in una cassaforte della Procura di Milano, contengono informazioni di grande interesse per gli Stati Uniti. La loro custodia solleva interrogativi sulle procedure legali e sulle possibili conseguenze diplomatiche tra Italia e Iran.

Le implicazioni legali e diplomatiche

La liberazione di Abedini è avvenuta in un contesto complesso, dopo la scarcerazione della giornalista Cecilia Sala, detenuta in Iran per 21 giorni. Nonostante il rilascio, i dispositivi rimangono sotto sequestro e non è stata ancora presentata una richiesta di assistenza giudiziale. Questo potrebbe complicare ulteriormente le relazioni tra i due paesi, specialmente considerando che gli Stati Uniti hanno emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti di Abedini, accusato di un ruolo chiave in un attentato in Giordania che ha causato la morte di tre soldati americani.

Il futuro dei dispositivi sequestrati

La Procura di Milano ha adottato una prassi che non prevede la comunicazione del sequestro né alla Corte né alla Procura Generale, il che spiega perché i dispositivi siano ancora negli uffici milanesi. Non è escluso che, in futuro, possano essere consegnati in copia via rogatoria, ma al momento non ci sono sviluppi concreti in tal senso. La situazione rimane in evoluzione e le autorità italiane dovranno valutare attentamente le implicazioni legali e diplomatiche di questo caso, che potrebbe avere ripercussioni significative sia a livello nazionale che internazionale.