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Il caso di Alessio Capogna
Alessio Capogna, un giovane boss romano di 32 anni, è finito al centro di un’inchiesta che ha rivelato una truffa ai danni dello Stato. Mentre si trovava in carcere per spaccio di droga, lui e sua moglie hanno percepito indebitamente il reddito di cittadinanza, accumulando oltre 36mila euro in due anni. Questo caso solleva interrogativi sulla gestione e i controlli relativi all’erogazione di sussidi statali, specialmente in situazioni di evidente impossibilità di lavoro.
La mala romana e il reddito di cittadinanza
Capogna non è un nome sconosciuto nel panorama criminale romano. Appartenente a una famiglia di mala fama, è cugino di due collaboratori di giustizia che stanno contribuendo a smantellare le reti criminali della Capitale. La sua storia non è isolata: negli ultimi anni, diversi membri di organizzazioni mafiose e camorristiche hanno tentato di sfruttare il reddito di cittadinanza per ottenere fondi pubblici, nonostante la loro condizione di latitanza o detenzione. Questo fenomeno ha messo in luce le falle nel sistema di controllo dell’INPS, incapace di verificare le informazioni fornite dai richiedenti.
Le indagini delle forze dell’ordine
Le forze dell’ordine hanno avviato un’indagine approfondita dopo aver notato anomalie nei pagamenti del reddito di cittadinanza. La scoperta di Capogna è solo la punta dell’iceberg: nel 2022, i carabinieri hanno identificato ben 23 truffatori, tra cui membri di clan noti come i Casamonica e gli Spada, che avevano presentato false dichiarazioni per ottenere sussidi. Questi individui si erano addirittura inventati familiari per aumentare l’importo percepito, truffando lo Stato per oltre 95mila euro. La situazione ha sollevato un dibattito pubblico sulla necessità di riformare il sistema di erogazione dei sussidi e di implementare controlli più rigorosi per prevenire abusi.