Roma, 11 nov.
(Adnkronos Salute) – "Cladribina ha un meccanismo d'azione innovativo molto interessante che definiamo 'immuno-ricostituente'. Significa che il farmaco è in grado di depletare, e quindi di uccidere, i linfociti B e linfociti T, che sono quelli che attaccano successivamente la mielina e quindi determinano il danno tessutale e la progressione della disabilità. Dopo l'assunzione di cladribina, questi linfociti B e T tendono a essere ridotti in maniera significativa e il midollo comincia a costruirne di nuovi che non hanno memoria contro la mielina.
Siamo quindi in grado di controllare, nel tempo, l'aggressione di queste cellule sulla mielina e, dunque, la progressione della disabilità". Così Claudio Gasperini, direttore dell'Uoc di Neurologia dell'ospedale San Camillo di Roma e coordinatore del Gruppo di studio della sclerosi multipla della Società italiana di neurologia, intervenendo in un simposio in occasione del 54° Congresso Sin, in corso a Roma.
"Viene somministrato in maniera ottimale per i nostri pazienti, perché è un farmaco orale – spiega Gasperini – Abbiamo una somministrazione di 2 settimane in un mese.
Dopo, il paziente non assume più il farmaco per un anno. Si ripete poi questo ciclo l'anno successivo e, per 4 anni, se il paziente è rispondente, è libero da qualunque tipo di terapia, ma soprattutto è libero da attività di malattia".
Ricordando i dati a 4 anni dello studio Magnify, presentati al simposio, l'esperto ricorda che "circa l'80% dei pazienti è libero da progressione di disabilità in senso motorio, dal punto di vista di assenza di nuove lesioni alla risonanza magnetica e per quel che riguarda il buon controllo del deficit cognitivo.
Questo significa garantire una stabilizzazione della malattia in una gran parte dei nostri pazienti – sottolinea il neurologo – Oltre a questi risultati, c'è un dato di sicurezza molto importante: non sono infatti emersi warning di attenzione. I nostri pazienti non hanno avuto effetti collaterali significativi e questo ci permette di utilizzare il farmaco anche nella fascia di età più adulta, ovvero sopra i 50 anni, in cui il tema della immunosenescenza determina una riduzione delle difese immunitarie.
Ebbene, il farmaco si è dimostrato, in una post-doc analysis, che anche in questi pazienti non sono emersi effetti collaterali. Cladribina è dunque un farmaco che noi possiamo utilizzare sia nella fase molto precoce della malattia, in pazienti giovani – conclude Gasperini – ma anche in quei pazienti in cui la malattia si manifesta in tarda età, oppure in pazienti che non rispondono più, in un'età più avanzata".