Roma, 8 feb. (Adnkronos Salute) – "Quando una persona comincia ad avere dolore addominale, diarrea cronica e stanchezza persistente, credo sia il momento in cui si deve rivolgere al medico di medicina generale o allo specialista gastroenterologo". Lo ha detto Alessandro Armuzzi, responsabile Uo di Ibd – Malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici), Irccs Humanitas di Rozzano (Milano), questa mattina nel corso di un evento su 'Malattia di Crohn e colite ulcerosa: diamo luce all'invisibile', organizzato a Milano da Abbvie.
Anche se la sintomatologia può essere confusa con un colon irritabile, può essere espressione di un inizio di una malattia di Crohn, quindi "da un punto di vista medico – raccomanda Armuzzi – è sempre opportuno iniziare un percorso, almeno iniziale, di tipo diagnostico, con esami del sangue e delle feci, come la calprotectina fecale, o anche una semplice ecografia delle anse intestinali. Perché al manifestarsi di questi segni e sintomi, corredati con un qualche indice di infiammazione a livello degli esami richiesti, bisogna procedere con l'iter completo per poter fare la diagnosi di malattia di Crohn. Nel caso della colite ulcerosa, nella stragrande maggioranza dei casi vi è anche un sanguinamento intestinale, un sintomo d'allarme che deve portare il paziente, qualsiasi sia l'origine, a consultare un medico per procedere con un iter diagnostico appropriato".
Ad oggi sono disponibili numerose terapie per la gestione della malattia di Crohn e colite ulcerosa. Ai trattamenti convenzionali "come la mesalazina e gli steroidi", ricorda lo specialista, si affiancano quelli più recenti, come gli anticorpi monoclonali. "Abbiamo a disposizione varie classi – precisa Armuzzi – e molto più recentemente anche le cosiddette piccole molecole. Le terapie biotecnologiche vanno iniziate quando il paziente non è tenuto perfettamente sotto controllo con la terapia convenzionale. E' meglio tenere sotto controllo da subito il paziente affetto o da malattia di Crohn o da colite ulcerosa". I corticosteroidi, "quando sono usati eccessivamente – evidenzia l'esperto – determinano un non controllo della malattia e numerosi effetti collaterali". Inoltre, "quando la malattia ha dei fattori prognostici sfavorevoli, è meglio tenere sotto controllo con il raggiungimento degli obiettivi principali che possono essere raggiunti con le terapie avanzate, come la guarigione mucosale".
"La guarigione mucosale è un endpoint che miriamo a raggiungere nella maggioranza dei pazienti, in tutti se possibile – rimarca Armuzzi – Chiaramente il modo più classico per poterla valutare è quello dell'endoscopia, della colonscopia e forse, entro l'anno dall'inizio di una terapia, la colonscopia è necessaria. Successivamente ci sono tante altre metodiche non invasive che possono essere surrogati della colonscopia, ad esempio il monitoraggio con la calprotectina fecale o l'ecografia delle anse intestinali che possono permettere di monitorare il paziente nel lungo termine senza utilizzare appunto la metodica invasiva".