Bruxelles, 23 ott.
(askanews) -“Davvero in Ungheria è normale affermare che una persona è un criminale, un delinquente, che ha commesso un reato, prima che il giudice abbia emesso una sentenza? Davvero è normale che a fare queste affermazioni siano alti esponenti del governo, in barba alla separazione dei poteri?”. E’ la domanda che Ilaria Salis ha posto al premier ungherese Viktor Orban e al suo portavoce Zoltan Kovac, durante la sua conferenza stampa, a Strasburgo, convocata non appena si è saputo, ieri, della richiesta da parte del governo di Budapest di revocare l’immunità parlamentare dell’eurodeputata italiana della Sinistra.
“Non è ancora terminato nemmeno il primo grado di giudizio, eppure – ha continuato Salis – sono già stata condannata dai signori Orban e Kovac, così come da moltissimi membri di Fidesz (il partito di Orban, ndr) e anche dei Patrioti (i membri del gruppo di estrema destra al Parlamento europeo, ndr) di altri paesi. In quella che, per bocca del suo stesso primo ministro, è definita una ‘democrazia illiberale’, come possono i giudici – ha chiesto ancora l’europarlamentare – esaminare con la necessaria obiettività e serenità un imputato che è dipinto come un delinquente, come un nemico pubblico, come un ‘terrorista’, da un potere politico, che cerca di ottenere una condanna a una pena esemplare?”
Salis si è proclamata innocente rispetto alle accuse di aggressione e violenze nei confronti di militanti di destra durante la “Giornata dell’Onore” a Budapest nel 2023, “una vergognosa commemorazione – l’ha definita -, dove ogni anno si radunano migliaia di neonazisti provenienti da tutta Europa, che il governo ungherese non solo non impedisce ma contribuisce a sostenere”.
L’11 febbraio 2023, ha ricordato, “sono stata tirata giù da un taxi e ammanettata senza nessuna spiegazione. Sono stata accusata in modo arbitrario di fatti avvenuti nei giorni precedenti, rispetto ai quali sono innocente e mi sono sempre dichiarata tale. Non ci sono prove contro di me e non sono stata riconosciuta tra gli aggressori né dalle vittime né dai testimoni”.
Eppure tuttora, ha aggiunto, “sono esposta al rischio di una pena enorme, fino a 24 anni di carcere duro, sproporzionata rispetto ai presunti reati, in un paese dove non ci sono le condizioni minime per un processo equo”.
Salis ha poi sottolineato le continue accuse diffamatorie nei suoi confronti, in particolare sui media filo governativi ungheresi. “Questa persecuzione, cominciata durante la mia detenzione ha assunto i connotati di un vero e proprio accanimento da quando sono stata eletta come europarlamentare. I continui attacchi pretestuosi nei miei confronti- ha accusato – hanno lo scopo di impedirmi di svolgere il mio mandato”. Questo, nell’ambito delle regole del Parlamento europeo, è forse il punto più importante che potrebbe essere invocato (“fumus persecutionis”) per motivare un eventuale rifiuto della revoca dell’immunità.
L’europarlamentare ha descritto le condizioni della sua detenzione cautelare preventiva “in condizioni disumane e degradanti” per 15 mesi nelle carceri ungheresi, e il trattamento umiliante subito durante le audizioni in tribunale: “Sono stata condotta con mani e piedi incatenati e al guinzaglio di fronte al giudice durante le udienze del processo. Un trattamento del genere, oltre che essere umiliante, rischia anche di influenzare negativamente il giudice”.
“Quelle immagini, per fortuna – ha rilevato Salis – hanno suscitato un’ondata di indignazione pubblica quasi senza precedenti nel mio paese.
Anche la Commissione europea, in una risposta scritta a un’interrogazione sul mio caso, ha ribadito l’importanza del principio di presunzione di innocenza e ha fatto riferimento alla direttiva europea vieta di presentare gli imputati come colpevoli in tribunale, attraverso l’utilizzo di strumenti di coercizione fisica, come appunto le catene”.