Stati Uniti ed Iran, due Paesi profondamenti distanti tra loro dal punto di vista politico, sociale ed economico. Ma qualcosa li accomuna: la pena di morte. Una condanna brutale in qualsiasi modo la si pratichi. Eppure l’opinione pubblica mondiale nel giudicare le vicende di Sakineh e Teresa Lewis ha avuto reazioni emotive diversissime tra loro. Le due donne hanno storie molto simili.
Sakineh Mohammadi-Ashtiani è stata condannata prima alla lapidazione, pena poi sospesa, ed in seguito all’impiccagione per complicità nell’omicidio del marito. Teresa Lewis, 41enne, disabile mentale, è stata giustiziata in Virginia con una iniezione letale sabato scorso in quanto giudicata responsabile di un duplice omicidio (aveva pianificato l’assassinio del marito e del figliastro).
Per Sakineh si è mobilitato il mondo intero in una campagna di sensibilizzazione partita dalla Francia che ha coinvolto nomi illustri del mondo della cultura, del cinema e della politica, a partire dalla moglie del presidente Sarkozy, Carla Bruni.
Per il caso di Teresa Lewis l’America non si è commossa più di tanto, ormai assuefatta alle esecuzioni capitali, e non si sono visti nemmeno lo stesso sdegno della comunità internazionale, nessun Paese ha messo a rischio i propri rapporti diplomatici con gli Stati Uniti per cercare di salvarla.
E mentre tutto il mondo guardava con orrore Teheran e i governi dei paesi europei intervenivano a favore di Sakineh, gli Stati Uniti giustiziavano un’ inferma di mente per le stesse accuse rivolte alla donna iraniana.
Il dubbio di molti osservatori è che la storia di Sakineh sia stata usata in modo strumentale dai media per alimentare l’ostilità del mondo occidentale verso il regime iraniano.Un’analisi che per molti versi può sembrare una forzatura. Ma la dinamica di queste due vicende, oggettivamente, qualche dubbio lo solleva.