Milano, 4 mar.
(Adnkronos Salute) – Corrono più rischi infettivi di un comune cittadino, potrebbero proteggersi da molti di questi con i vaccini, eppure non sempre medici e operatori sanitari lo fanno. Un problema di vecchia data, che continua anche dopo la pandemia di Covid-19. I numeri parlano chiaro. Secondo una stima dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ogni giorno circa 59 milioni di operatori sanitari in tutto il mondo sono esposti a molteplici rischi biologici professionali, attraverso il contatto con pazienti infetti e con fluidi e materiali contaminati.
Nonostante raccomandazioni consolidate richiedano che gli operatori sanitari ricevano vaccinazioni contro le malattie prevenibili, l'aderenza ai programmi di routine è spesso "non ottimale", il che porta a preoccupazioni sulla prevenzione delle infezioni associate all'assistenza sanitaria.
Basta anche guardare alla classica iniezione scudo contro i virus invernali. Dati dell'Unione europea sulla vaccinazione contro l'influenza stagionale 2020/21 mostrano per esempio che la copertura media tra gli operatori sanitari è inferiore alla soglia raccomandata del 75%: la mediana è infatti 52% (intervallo 16-71).
Altro esempio: il tasso di vaccinazione contro l'epatite B tra gli operatori sanitari Ue è di circa il 50% (aggiornamento 2022), molto più basso dell'80% raccomandato. La copertura con vaccinazioni di richiamo per tetano-difterite-pertosse acellulare (Tdap) nel mondo raggiunge livelli che variano dal 6,1% al 63,9%, rispetto al 60% raccomandato.
Le ragioni che limitano l'adesione di medici, infermieri e professionisti sanitari alle vaccinazioni e il nodo di come aumentarla sono temi che vengono affrontati in uno studio pubblicato su 'Eurosurveillance'.
Si tratta di una revisione sistematica e una metanalisi firmata da ricercatori italiani di diversi atenei e istituzioni: università di Torino, Roma La Sapienza, Milano-Bicocca, Aou Città della salute e della scienza di Torino. Gli operatori sanitari corrono il pericolo di contagiarsi sul lavoro e di trasmettere infezioni a pazienti, colleghi e familiari, diventando in alcuni casi 'fonti' di malattie prevenibili col vaccino, il tutto nelle strutture sanitarie dove operano.
Si evincono dunque anche i vantaggi derivanti dall'immunizzazione in termini di riduzione di questo rischio e protezione delle persone più vulnerabili. Inoltre, fanno notare gli autori, la vaccinazione può ridurre malattie e assenze tra gli operatori abbassando i costi dei servizi sanitari dovuti alla perdita di produttività. Come fare quindi a migliorare le coperture? Per rispondere a questa domanda gli scienziati hanno sottoposto a revisione sistematica 48 studi (condotti coinvolgendo un totale di 768.402 operatori sanitari), includendone 43 nella meta-analisi.
Gli operatori sanitari vaccinati hanno maggiori probabilità di essere informati sulle vaccinazioni e di essere efficaci anche nel migliorare la fiducia delle persone nella vaccinazione. Alcuni studi rilevano proprio questo aspetto: i pazienti e le loro famiglie considerano gli operatori vaccinati la fonte più affidabile sul tema e questi hanno un'influenza positiva sulla loro adesione e fiducia nelle vaccinazioni. Durante la pandemia di Covid, il coinvolgimento dei sanitari nella definizione di programmi vaccinali ha svolto un ruolo chiave nel facilitare l'adesione tempestiva e nel contenere la diffusione del virus.
La decisione di un operatore di vaccinarsi coinvolge una serie di determinanti individuali e sociali. La sottostima della gravità della malattia, ma anche l'accesso limitato alla vaccinazione – elencano gli autori dello studio – sono tra le principali ragioni della non adesione. Inoltre, il timore degli effetti collaterali e la disinformazione o i dubbi sull'efficacia dei vaccini sembrano influenzare negativamente i comportamenti vaccinali del personale sanitario. Anche i ruoli professionali e gli ambienti di lavoro possono avere un peso.
Una bassa copertura vaccinale è più frequente tra gli assistenti sanitari e gli infermieri che tra i medici. Gli operatori che lavorano in ambito ospedaliero generalmente hanno una maggiore aderenza alla vaccinazione e forse i vaccini sono più facilmente accessibili negli ospedali che in contesti comunitari.
Pertanto, prosegue il ragionamento dei ricercatori, "sono necessari interventi mirati per aumentare l'adesione" di queste categorie. Una migliore comprensione di questi interventi "potrebbe migliorare le future campagne di vaccinazione e massimizzare le risorse sanitarie".
L'analisi degli esperti si è concentrata su vari aspetti. Per esempio la componente informativa di un intervento, cioè strumenti istruttivi o di aiuto alla decisione come volantini o opuscoli che forniscono informazioni essenziali basate sull'evidenza. Sono poi stati definiti promozionali gli interventi che includevano la promozione attiva dell'educazione sui vaccini attraverso ampie campagne che includevano strategie operative come attività comunicative o promozionali. C'era poi la modalità educativa, quando l'intervento mirava a cambiare le conoscenze o gli atteggiamenti degli operatori sanitari, o applicava metodologie come giochi di ruolo o modelli video.
Infine, le policy: interventi che proponevano programmi, attività o azioni obbligatorie".
Risultato: è emerso che gli interventi multicomponente hanno avuto un effetto positivo, statisticamente significativo, maggiore rispetto a quelli singoli. "Questa metanalisi ha evidenziato quali elementi potrebbero essere utili per promuovere una maggiore aderenza alla vaccinazione (per vaccini anti-influenza e Tdap in particolare, su cui erano disponibili dati). La ricerca futura dovrebbe guidare i decisori nel determinare i contesti più efficaci per l'implementazione degli interventi", concludono gli autori.