Milano, 29 mag. (Adnkronos Salute) – Lo hanno classificato con il numero 236: è il cranio – con mandibola annessa – di un giovane uomo sui 30-35 anni d'età, due reperti datati tra il 2687 e il 2345 a.C., quindi di oltre 4mila anni fa. Su questo teschio potrebbero esserci i segni della prima 'chirurgia' anticancro, ipotizzano gli scienziati che l'hanno analizzato. Dall'osservazione microscopica infatti è emersa una lesione di grandi dimensioni, compatibile con un'eccessiva distruzione dei tessuti, una neoplasia. Ci sono poi anche circa 30 lesioni metastatizzate piccole e rotonde sparse nel cranio. Ma ciò che ha stupito i ricercatori è stata la scoperta di segni di taglio attorno a queste lesioni, che probabilmente sono stati realizzati con un oggetto appuntito come uno strumento metallico. "Quando abbiamo osservato per la prima volta i segni di taglio al microscopio non potevamo credere a ciò che avevamo di fronte", racconta Tatiana Tondini, ricercatrice dell'università di Tubinga e prima autrice dello studio pubblicato su 'Frontiers in Medicine' in cui si fa un resoconto della scoperta.
"Sembra che gli antichi egizi eseguissero una sorta di intervento chirurgico legato alla presenza di cellule cancerose, dimostrando che l'antica medicina egiziana conduceva anche trattamenti sperimentali o esplorazioni mediche in relazione al cancro", spiega il coautore Albert Isidro, oncologo chirurgo dell'ospedale universitario Sagrat Cor, specializzato in Egittologia. Dai testi antichi si sa che – per i loro tempi – gli antichi egizi erano eccezionalmente abili in medicina. Ad esempio sarebbero in grado di identificare, descrivere e curare malattie e lesioni traumatiche, costruire protesi, inserire otturazioni dentali. Altre condizioni, come il cancro, non potevano curarle, ma avrebbero potuto provarci. Cercando di esplorare i limiti dei trattamenti traumatologici e oncologici nell'antico Egitto, il team internazionale di scienziati ha studiato due teschi umani vecchi di migliaia di anni. Il secondo è il cranio E270, datato tra il 663 e il 343 a.C., appartenente a una donna di età superiore ai 50 anni.
"Vediamo che, sebbene gli antichi egizi fossero in grado di affrontare complesse fratture craniche, il cancro era ancora una frontiera della conoscenza medica", osserva Tondini. "Questa scoperta è una prova unica di come l'antica medicina egiziana avrebbe cercato di affrontare o esplorare il cancro più di 4mila anni fa", aggiunge l'autore principale dello studio, Edgard Camarós, paleopatologo dell'università di Santiago de Compostela. "Questa è una nuova prospettiva straordinaria nella nostra comprensione della storia della medicina".
"Volevamo conoscere il ruolo del cancro nel passato, quanto fosse diffusa questa malattia nell'antichità e come le società antiche interagissero con questa patologia", interviene di nuovo Tondini. Con questo obiettivo i ricercatori hanno esaminato i due teschi conservati presso la Duckworth Collection dell'Università di Cambridge. Anche il cranio E270 mostra una grande lesione compatibile con un tumore che ha portato alla distruzione dell'osso. Ciò potrebbe indicare che, sebbene lo stile di vita odierno, l'invecchiamento della popolazione e le sostanze cancerogene presenti nell'ambiente aumentino il rischio di cancro, anche in passato questa era una patologia comune.
Sul cranio E270 sono presenti anche due lesioni guarite da lesioni traumatiche. Una sembra aver avuto origine da un evento violento a distanza ravvicinata, si rileva l'utilizzo di un'arma affilata. Da qui un'ipotesi degli scienziati: queste lesioni guarite potrebbero significare che la persona ha potenzialmente ricevuto qualche tipo di trattamento e, di conseguenza, è sopravvissuta. Vedere una ferita del genere su una donna è raro, la maggior parte delle lesioni legate alla violenza si riscontrano nei maschi. "Questa donna era coinvolta in qualche tipo di attività di guerra?", si chiede Tondini. "Se è così, dobbiamo ripensare il ruolo delle donne nel passato e il modo in cui hanno preso parte attiva ai conflitti nell'antichità".
Gli autori, tuttavia, affermano che lo studio dei resti scheletrici comporta alcune sfide che rendono difficile fare affermazioni definitive, soprattutto perché i resti sono spesso incompleti e non esiste una storia clinica nota. "In archeologia lavoriamo con una porzione frammentata del passato, il che complica un approccio accurato", rimarca Isidro. "Questo studio contribuisce a un cambiamento di prospettiva e costituisce una base incoraggiante per la ricerca futura nel campo della paleo-oncologia, ma saranno necessari ulteriori studi per chiarire il modo in cui le società antiche affrontavano il cancro", conclude Camarós.