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**Referendum: vincitori e vinti, un club esclusivo da Craxi a Renzi fino a Papi e Re**

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Roma, 23 gen (Adnkronos) - Giorgia Meloni ha tirato un sospiro di sollievo, per uno 'stress test' in meno per il suo percorso a palazzo Chigi. Elly Schlein ha trovato un nodo da sciogliere, con una nuova puntata della 'telenovela' sempre seguita sul Pd diviso. Il referendum su au...

Roma, 23 gen (Adnkronos) – Giorgia Meloni ha tirato un sospiro di sollievo, per uno 'stress test' in meno per il suo percorso a palazzo Chigi. Elly Schlein ha trovato un nodo da sciogliere, con una nuova puntata della 'telenovela' sempre seguita sul Pd diviso. Il referendum su autonomia e Jobs act si è confermato all'altezza dei suoi predecessori: croce e delizia per i leader politici. La premier e la segretaria del Pd sono però in buona compagnia, ultime destinatarie di un 'cadeaux' referendario riservato ai membri di un club esclusivo che comprende soci come Bettino Craxi, Matteo Renzi, Amintore Fanfani e Silvio Berlusconi tra gli altri (per non parlare di papi e teste coronate).

Uno dei voti popolari più celebri resta quello del '74 sul divorzio. Una affluenza incredibile: 87,7%. Alla riffa del 'chi vince, chi perde' esce un nome su tutti, quello di Amintore Fanfani, che aveva ottenuto l'approvazione della legge sul referendum in abbinata con il sì alla legge sul divorzio. Nei piani della Dc, il verdetto parlamentare si poteva ribaltare nel Paese. E' finita con il no all'abrogazione scelto dal 59,1% dei votanti. Una debacle per la Balena bianca.

Passano solo pochi anni e il referendum concede un clamoroso bis. A metà maggio '81 si vota su vari quesiti e, tra questi, su quello promosso dal Movimento per la vita per abrogare la legge sull'aborto. Tra gli sponsor del referendum abrogativo, oltre alla Dc, scende in campo addirittura Papa Giovanni Paolo II, che si dice a favore della mobilitazione in difesa del "diritto alla vita". Il risultato fu netto: 68% per il no e il 32% per il sì. Nonostante l'endorsement papale.

(Adnkronos) – Nell'85 il vincitore, a mani basse, è invece uno solo: Bettino Craxi. Mentre lo smacco lo subiscono la Cgil e il Pci. Al centro del quesito referendario di giugno c'è il decreto San Valentino, quello approvato dal governo socialista che traglia di 3 punti percentuali la scala mobile. Va abrogato, dicono i promotori. Il leader socialista gioca una carta pesante: "Se perdo me ne vado. Un segnale anche limitato ma negativo significherebbe una sconfitta", dice in una intervista.

Dall'altra parte, "il vertice del Pci era convinto di vincere e e riacquistare una forte influenza sulla politica nazionale", ammette Luciano Lama. Non finisce secondo gli auspici del Pci e della Cgil, il no raccoglie il 54,3% e il governo Craxi si rafforza. Ma il referendum è una roulette, forse ancora più incerta delle elezioni. E così il leader socialista, qualche anno dopo, paga pegno con una amara, storica, sconfitta.

Nel '91 brilla la stella di Mario Segni, che promuove il referendum contro le pluri preferenze. Nel mirino di 'Mariotto' c'è il sistema del trio Craxi, Andreotti, Forlani allora al timone del Paese. E il Caf fa di tutto per difendersi: il segretario socialista consiglia gli italiani: "Andate al mare". Mentre Ciriaco De Mita, che pure del Caf non era membro, parla di "una cavolata" a proposito del quesito. L'esito è storico, il 95,6% è per il sì, percentuali da record. Persino l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga si complimenta con Segni. E' la spallata alla Prima Repubblica.

(Adnkronos) – In Italia, però, la storia dei referendum è la storia di Marco Pannella, che è protagonista di diverse battaglie referendaria nel corso della sua lunga carriera politica. Tra gli altri, il leader Radicale promuove nel '78 un referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti che raccoglie il 43,6% dei sì. Ma dal 'mal di quorum' non risultano immuni nemmeno campioni di preferenze come Silvio Berlusconi. Nel 2006 gli italiani vengono chiamati a giudicare le riforme costituzionali del Cavaliere: il referendum, sostenuto dal centrodestra, vede la prevalenza dei no con il 61,29%.

Se si parla di referendum e i suoi effetti, però, bisogna bussare a casa Renzi. Lo stesso ex premier oggi ne parla con ironia ("sono il massimo esperto", ripete sempre) ma nel 2016 la sconfitta del quesito confermativo sulla 'sua' riforma costituzionale, da lui stesso promosso, provoca una slavina che arriva fino a Palazzo Chigi e al Nazareno. Renzi, dopo il 59% dei no, lascia prima il governo e poco dopo la guida del Pd. "Il popolo italiano ha parlato, ha parlato in modo inequivocabile", dice nel suo discorso di addio al governo.

Ma, con rispetto per Renzi, nella storia il referendum non ha guardato in faccia nessuno. Nemmeno i Re. La prima consultazione a suffragio universale è quella del 2 e 3 giugno del 1946 per scegliere tra monarchia e Repubblica: 12.717.923 italiani scelgono la seconda opzione. Il 13 giugno del '46 il Re Umberto saluta e lascia l'Italia per l'esilio di Casa Savoia conseguente all'esito del referendum.