L’educazione severa e morigerata con cui il padre aveva voluto che crescesse non sortì gli effetti sperati: Giulia, amatissima figlia unica di Ottaviano Augusto, fu tutto meno che una donna irreprensibile e dai sobri costumi.
Bella, colta, intelligente e scaltra, fu moglie più volte e madre di diversi figli, ma non riuscì mai a fare a meno di una condotta di vita dissoluta e sfrenata, insita nella sua natura di donna insofferente alle regole e alle imposizioni, facendo incetta di amanti e corteggiatori, circondandosi di lusso e adulatori, scelte che la condurrano a una fine prematura e triste lontana dal mondo e dagli uomini.
Nata nello stesso giorno in cui il padre ripudiò sua madre Scribonia per poter essere libero di sposare Livia Drusilla di cui si era perdutamente innamorato, dopo un’infanzia non particolarmente dorata e dopo un breve e infelice matrimonio contratto ancora ragazzina, Giulia sposò a 18 anni il quarantunenne di Arpino Marco Vipsanio Agrippa, amico fraterno del padre e uno degli uomini più potenti dell’Impero, di cui era l’indiscusso stratega militare.
A distanza di pochi anni nacquero Gaio e Lucio, subito adottati dal nonno e designati come suoi successori legittimi, e le femmine Giulia Minore e Giulia Agrippina; Agrippa era un uomo generoso e schietto, innamorato davvero, pare, della moglie e dei figli, ma Giulia non era tipo di donna da poter resistere a lungo a fianco di un solo uomo, e approfittando delle continue spedizioni militari che portavano il marito lontano per lunghi periodi, ne approfittava per fare scorta di amanti e vivere senza freni la sua condizione di privilegiata.
Affascinata da sempre dalla cultura orientale, che considerava misteriosa e lontana, convinse il marito a portarla con sé in una nuova campagna militare; fu accolta come una dea, idolatrata e adulata al punto da restare ubriaca da quell’accoglienza e da quel soggiorno in terra straniera, tanto forse, da perdere la cognizione della realtà e il senso della misura.
Incinta del quinto figlio e di nuovo lontano il marito chiamato in Pannonia, Giulia riprese e proseguì con maggior foga di prima le abitudini libertine e licenziose di sempre; intanto, lei che era figlia dell’Imperatore che si era assunto il difficile compito di restituire a Roma l’antica e rimpianta morigeratezza di costumi, finiva sulla bocca di tutti senza rendersi conto di provocare grande imbarazzo ed enormi difficoltà al padre, sempre più amareggiato dal comportamento della giovane e indomabile figlia.
Quando improvvisamente giunse nella capitale la ferale notizia dell’improvvisa morte di Agrippa, Augusto ne restò profondamente turbato, lui che era famoso per freddezza e cinismo, pianse sinceramente la perdita dell’amico di sempre, che era anche suo genero e padre degli adorati nipoti; Giulia non parve particolarmente scossa, ma obbedì al padre quando, subito dopo la nascita del bambino, egli le impose di chiamarlo Agrippa Postumo a ricordo e in onore del valoroso genitore che non aveva potuto conoscere.
Trascorso il periodo obbligatorio e canonico del lutto, Augusto impose alla figlia di maritarsi nuovamente con Tiberio Claudio Nerone (il futuro imperatore), ambizioso figlio di Livia.
Il matrimonio si rivelò un disastro peggiore del previsto: tra i due coniugi si stabilì un rapporto di reciproco odio che li condusse a vite di fatto separate: Tiberio si recò in volontario esilio a Rodi, Giulia si dette a festini di cui ormai tutta la città era a conoscenza.
Augusto non poteva tollerare oltre.
E’ stata avanzata l’ipotesi che tra i giovani della jeunesse dorée di cui Giulia si circondava, si fosse palesata l’idea di una congiura contro l’Imperatore,; da ciò il dubbio che Augusto, spietato e integerrimo nel mantenimento del proprio illimitato potere personale, abbia approfittato delle reali licenziosità della figlia per liberarsi di uomini scomodi e pericolosi, tra cui Jullo Antonio, figlio di Marco Antonio e Fulvia, di cui probabilmente Giulia si era innamorata.
Quello che è certo è che il princeps non esitò a denunciare pubblicamente intemperanze ed errori della figlia, che dopo un processo sommario in cui la sua vita venne penosamente passata al setaccio, fu condannata all’esilio perpetuo nella piccola isola di Pandataria (Ventotene).
Le regole imposte erano rigidissime: niente uomini, niente vino, niente visite, unica concessione la compagnia della madre Scribonia, che decise di recarsi volontariamente con la figlia per lenire le sue sofferenze e la desolata solitudine cui andava incontro.
Dopo cinque anni di Pandataria, Augusto concesse che Giulia fosse trasferita a Reggio, dove morì a soli 53 anni nello stesso anno in cui si spense anche l’amato-odiato padre, il 14 d.C.
Precisamente, lei morì qualche mese dopo, appena giunto al potere il marito Tiberio, che non mosse un dito per salvarla.