Roma, 27 mar.
(Adnkronos Salute) – "Proprio perché il tumore ovarico si diagnostica molto tardivamente e richiede una chirurgia di alta qualità, è importante concentrare i casi e selezionarli, all'interno delle regioni. Lo stesso vale per le diagnosi molecolari che oggi sono fondamentali per la gestione" delle terapie sempre più mirate. "Le reti oncologiche sono molto importanti perché possono identificare dei percorsi all'interno della regione che indirizzano le pazienti verso i centri chirurgici migliori, i centri oncologici che hanno la possibilità di prenderle in carico in maniera completa".
Lo ha detto all'Adnkronos Salute Sandro Pignata, direttore Divisione Oncologia medica, Dipartimento di Uro-ginecologia, Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione G. Pascale di Napoli, oggi nel corso di una tavola rotonda dell'Ovarian Cancer Commitment (Occ), promossa a Roma da AstraZeneca insieme alla Società europea di oncologia ginecologica (Esgo) e alla Rete europea dei Gruppi di Advocacy sul cancro ginecologico (Engage).
Il tumore all'ovaio "purtroppo è subdolo: non dà grandi sintomi, quindi le donne non si accorgono per tempo di avere questa neoplasia – sottolinea Pignata, nel board dell'Occ – Nell'80% dei casi viene diagnosticato in fase avanzata, quando il tumore è uscito dall'organo e ha interessato il peritoneo.
E' difficile dire quanto tempo intercorre tra l'insorgenza del tumore e quando viene diagnosticato, ma certamente c'è un tempo di latenza che dipende molto dalle caratteristiche molecolari del tumore. Ci sono tumori più aggressivi e meno. Purtroppo, però, in genere" si scopre "quando è molto esteso nella cavità addominale. Fondamentale l'esecuzione del test Hrd, che permette di adattare le cure a ogni singola paziente e consente ai clinici di proporre strategie di sorveglianza o di riduzione del rischio".
Difficile la prevenzione, perché "la paziente in media ha un'età intorno a 60 anni, ma non ha particolari caratteristiche. E' però molto importante – evidenzia lo specialista – identificare per tempo quel 20% di pazienti che invece hanno una familiarità, perché in queste pazienti è presente una mutazione. Si può quindi estendere la ricerca della mutazione alle loro famiglie, per identificare dei soggetti sani che sono a rischio di sviluppare il tumore".