L’introduzione della figura degli assistenti infermieri è diventata uno dei temi più caldi nel dibattito sanitario italiano. Una novità introdotta lo scorso ottobre dalla Conferenza Stato-Regioni, che sta facendo discutere, e non poco, tra sindacati e professionisti del settore.
Assistenza infermieristica: Lombardia e Valle d’Aosta puntano sugli assistenti, ma le critiche non mancano
La Lombardia e la Valle d’Aosta, senza esitazioni, hanno deciso di anticipare l’iter nazionale, cercando di mettere in campo questa figura al più presto. Le motivazioni? Combattere la cronica carenza di personale nelle strutture sanitarie, dove la domanda di assistenza è in costante aumento, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione e delle malattie croniche. Ma cosa si nasconde dietro questa soluzione?
Gli assistenti infermieri, definiti come una via di mezzo tra l’Oss e l’infermiere, sono accusati dai sindacati di essere una figura poco formata, non tutelata legalmente e potenzialmente pericolosa. Angelo Minghetti, segretario di Human Caring, è lapidario: “Questa non è altro che una soluzione tampone, a basso costo, che ridurrà la qualità dell’assistenza, creando una categoria di lavoratori mal pagati e senza garanzie.” E la politica, secondo lui, lo sa bene.
Questa nuova figura, che prende il posto dell’Oss, non sarà riconosciuta come professionista sanitario, quindi niente copertura assicurativa, nessuna protezione giuridica. Un rischio per i pazienti, per il sistema assistenziale e, soprattutto, per gli operatori stessi. La formazione? Un diploma superiore, 24 mesi come Oss, e 500 ore di corso (di cui 200 di teoria). Niente di che, se si pensa che in un ospedale un infermiere laureato ci mette anni per arrivare a quel livello.
Assistenti infermieri: tra critiche sindacali e difese, il dibattito sulla qualità delle cure continua
E i sindacati non sono affatto convinti che questa soluzione possa davvero risolvere la crisi del personale. Anzi, temono che si rischi solo di abbassare gli standard di cura.
Ma c’è anche chi difende questa scelta. La Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi), per esempio, vede nell’assistente infermiere una risorsa preziosa per supportare il lavoro degli infermieri, non per sostituirli. Maurizio Zega, vicepresidente della Fnopi, sostiene che, in molti Paesi anglosassoni, questa figura è già da tempo una realtà e aiuta a migliorare l’efficienza del sistema sanitario, permettendo agli infermieri di concentrarsi su attività più complesse. Insomma, una questione di efficienza economica: è meglio non fare fare a un infermiere laureato lavori di routine che potrebbero essere gestiti da una figura meno qualificata. Non solo. Zega è convinto che, con una formazione adeguata, gli assistenti infermieri potranno portare un reale valore aggiunto, senza compromettere la qualità dei servizi.
Il dibattito, però, resta acceso. Da un lato, il rischio di demansionamento e l’illusione che l’introduzione dell’assistente infermiere risolva il problema della carenza di personale. Dall’altro, l’opportunità di ottimizzare le risorse, migliorando la qualità dell’assistenza senza gravare sui costi. La vera sfida, però, sarà trovare un equilibrio che non penalizzi né i professionisti né i pazienti. In attesa che i percorsi formativi vengano definiti e che il Ccnl del comparto Sanità si pronunci, le critiche non si placheranno facilmente.