19 luglio 1992. Una data che l’Italia non potrà mai dimenticare per quello che accadde in via D’Amelio a Palermo: la tragica scomparsa di Paolo Borsellino e i suoi cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
L’intervista alla figlia di Paolo Borsellino: la morte
32 anni più tardi, il dolore di Lucia, figlia di Paolo Borsellino, non è ancora scemato, così come la sua voglia di giustizia: “Da figlia ritengo che mio padre sia stato oltraggiato anche da morto. E non lo meritava. Perché più va vanti questa storia, più ci rendiamo conto di quanto le indagini siano state condotte male e quanto questo depistaggio sia riuscito in fondo, perché ci stanno volendo 32 anni a probabilmente non saranno soltanto 32 anni per riuscire quantomeno a fare una ricostruzione storica di quel periodo così buio”.
L’intervista alla figlia di Paolo Borsellino: la giustizia
La donna ha rilasciato un’intervista in esclusiva a Rita Pedditzi per il programma “Inviato Speciale”, su Radio 1 Rai, e ha parlato così del padre: “Mio papà è la persona che mi ha dato l’amore più grande e incondizionato che io potessi ricevere. La cosa che posso dire di lui è che ci diceva ‘grazie’, così come lo diceva anche a mia nonna. Pensare che un padre dica grazie ai propri figli è qualcosa di straordinario e il che significa che era un uomo che aveva perfettamente la consapevolezza dei propri limiti, che era un uomo umile e che tutto avrebbe immaginato, tranne che dovere assurgere a persona straordinaria per il semplice fatto di avere fatto il suo dovere“. E sulla sua tragica morte, Lucia ha aggiunto ancora: “Nei primi tempi abbiamo veramente deposto tutta la nostra fiducia sulle istituzioni perché ritenevamo e siamo tuttora convinti che di fronte ad eccidi di questo genere l’intero Stato italiano deve indignarsi, non può rimanere inerme: deve mettere in atto tutte le sue forze migliori per riuscire a capire quello che realmente è successo a distanza di soli 57 giorni dalla strage di Capaci. Eppure dopo 32 anni abbiamo assistito a uno scempio della verità perché quello che poi si è configurato come il depistaggio più grave della storia della nostra Repubblica, in realtà è tuttora in atto e non siamo ancora nelle condizioni di poter capire quello che è realmente successo”.