Roma, 8 feb. (Adnkronos Salute) – Evitare il collasso dei reparti neonatali di terapia intensiva e difendere i bambini più fragili dalla bronchiolite, un’infezione potenzialmente letale. Sono questi gli obiettivi principali di uno studio, coordinato dai ricercatori di UniCamillus, per il primo protocollo al mondo sulla gestione dei casi gravi. Il lavoro, pubblicato su The Lancet e Clinical Medicine – si legge in una nota – e promosso dall’Università Paris Saclay, si è rivelato un punto di svolta nel controllo efficace di un problema che porta alla morte centinaia di migliaia di bambini ogni anno. La bronchiolite è una temibile infezione respiratoria che aggredisce soprattutto i bambini molto piccoli e i neonati. Nei casi più gravi, può essere letale, in quanto può arrivare a causare un’insufficienza respiratoria molto critica.
Provocata soprattutto dal virus respiratorio sinciziale (Rsv), la bronchiolite è una patologia stagionale estremamente infettiva che, sia in Europa che in Nord America – complici il freddo e la contagiosità negli asili nido – determina parecchi ricoveri nei reparti pediatrici e neonatali di terapia intensiva (Uti). Nonostante l’aggressività e pericolosità di questa condizione, la letteratura scientifica esistente si basa prevalentemente su protocolli studiati su pazienti ricoverati in reparti di pediatria generale: questo non aiuta ad affrontare le emergenze dovute alle epidemie e ai casi più gravi da ospedalizzazione in terapia intensiva.
Alla luce di ciò – riferisce la nota – si è rivelato cruciale il lavoro promosso da Daniele De Luca, professore ordinario di Neonatologia all’Università Paris Saclay, insieme ad altri ricercatori ed esperti di varie università italiane e francesi, tra cui Maria Rosaria Gualano, professoressa associata di Igiene all’Università Medica Internazionale, che ha svolto l’importante ruolo di coordinator e seniorship organizzativa ed esecutiva.
Gli obiettivi di queste linee guida – dettaglia la nota – sono: preparare i team ospedalieri a riconoscere i casi più seri da veicolare nei reparti di emergenza; individuare i criteri che possano diagnosticare vari livelli di gravità del paziente pediatrico; gestire l’assistito tramite diverse e appropriate modalità di nutrizione, idratazione, supplementazione, nonché terapia farmacologica, cercando di evitare di intubare i piccoli pazienti, ed implementando invece modalità di assistenza respiratoria non-invasiva avanzata; assicurare il miglior controllo della diffusione del virus grazie ad appropriati dispositivi di protezione individuale, forme di isolamento di sicurezza, filtri e tecniche apposite. Il tutto al fine di evitare il collasso degli Uti e di proteggere i neonati che si trovano in situazioni più delicate (molto piccoli, con un sistema immunitario più debole e/o in condizioni di comorbilità preesistenti).
“Il protocollo proposto dal nostro studio diventa cruciale per la gestione dei piccoli pazienti che presentano fragilità e diventano casi più severi e complessi da gestire – commenta Gualano – Coniugando la ricerca basata sui migliori studi di riferimento con i dati della nostra realtà quotidiana, siamo stati in grado di raggiungere questo importante traguardo, per cui ci aspettiamo ottimi risultati dalle applicazioni in tutti i contesti di questo tipo, sia dal punto di vista del miglioramento degli outcome clinici, sia da quello economico, visto il buon livello di costo-efficacia di questo approccio”.
Allo studio, oltre all’Università Paris Saclay di Parigi e all’Università UniCamillus di Roma, hanno partecipato le Unità pediatriche di terapia intensiva del Bambino Gesù di Roma e dell’ospedale universitario di Padova, nonché la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma e il Centro di Ricerca e studi sulla leadership dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.