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Mo: medico Saleh, 'per bimbi Gaza ferite e traumi, c'è chi ha perso papà'

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Milano, 5 feb. (Adnkronos Salute) - I racconti delle mamme e dei bambini di Gaza, arrivati all'ospedale dei bambini Vittore Buzzi di Milano da La Spezia, dopo lo sbarco dalla nave Vulcano, sono "racconti di esperienze di guerra, del continuo spostarsi da una parte all'altra, dopo i pr...

Milano, 5 feb. (Adnkronos Salute) – I racconti delle mamme e dei bambini di Gaza, arrivati all'ospedale dei bambini Vittore Buzzi di Milano da La Spezia, dopo lo sbarco dalla nave Vulcano, sono "racconti di esperienze di guerra, del continuo spostarsi da una parte all'altra, dopo i primi bombardamenti, sempre più a Sud fino al confine con l'Egitto, perché nessun posto era sicuro per loro". A riferire le loro parole, spaccati della vita nella Striscia in questi giorni di conflitto, è Ahmad Saleh, 71 anni, medico originario della Palestina, in Italia dal '73. Qui lo conoscono come 'Dottor Cicogna', perché da medico del 118 di Pavia ha fatto nascere diversi bimbi durante il servizio in automedica. Il camice bianco, oggi in pensione, ha incontrato i bambini palestinesi allo sbarco a La Spezia.

"Alcuni di loro hanno lasciato il resto della famiglia lì, altri hanno perso i genitori. Come i 2 fratellini", 9 anni il maschio e 7 la femmina, "rimasti senza papà a causa dei bombardamenti, tanto che la mamma ha espresso l'intenzione di chiedere asilo politico in Italia dopo le cure – spiega Saleh – Sono tutti originari di Gaza. E hanno tutti problemi, traumi e ferite legati al conflitto. A Gaza nessuno può essere curato, non solo loro, perché gli ospedali non hanno attrezzature e farmaci essenziali per la vita, persino gli anestetici per fare operazioni come amputazioni o parti cesarei. Sono molto contenti dell'attenzione che hanno ricevuto da parte di tutti, per i loro bisogni. Sulla nave Vulcano erano coccolati. Hanno trovato persone molto brave, corrette e umane, una parola quest'ultima sparita dal dizionario per loro. L'equipaggio ha fatto un lavoro immenso, c'erano diverse persone palestinesi a bordo che li hanno fatti sentire a proprio agio, parlando il loro stesso dialetto. Sono stati felici di essere trattati come esseri umani e i bambini come bambini. Se gli fai dei sorrisi ti abbracciano subito perché hanno bisogno di molto affetto".

Che futuro li aspetta? "E' la domanda del secolo – riflette Saleh – Io ho vissuto la guerra del '67 (la guerra dei 6 giorni, ndr), avevo 14 anni, sono andato via con la mia famiglia, speravo di tornare l'anno dopo a casa mia e non ancora tornato".