Rimini, 18 mag. (askanews) – Le cure negli ospedali italiani su pazienti con la diagnosi di infarto miocardico acuto hanno contribuito a ridurre dal 16 all’8% la mortalità a 30 giorni dall’evento acuto. I cardiologi della sanità pubblica utilizzano al meglio le risorse farmacologiche offerte dal servizio sanitario nazionale, avvalendosi delle già efficaci combinazioni di farmaci. Occorre però migliorare la gestione dei fattori di rischio e del percorso di cura, per ridurre l’incidenza dell’infarto e la mortalità durante e dopo il ricovero. Sono le principali indicazioni che emergono dall’audit clinico condotto e promosso dall’associazione nazionale dei Medici cardiologi ospedalieri presentato nel corso del congresso nazionale a Rimini.
Furio Colivicchi, direttore Cardiologia dell’ospedale San Filippo Neri di Roma: “Una grande partecipazione, circa 600 cardiologi, il 10% di tutti i cardiologi ospedalieri che operano negli ospedali del nostro Paese hanno partecipato all’iniziativa, si sono formati, hanno valutato con i loro colleghi la qualità della loro attività e hanno dato luogo a un intervento di miglioramento dimostrato dai cambiamenti degli operatori”.
Ogni anno in Italia si registrano da 130 a 150 mila nuovi casi di infarto miocardico acuto: oltre 25 mila pazienti muoiono prima di arrivare al ricovero. L’8% dei ricoverati muore entro 30 giorni dalla dimissione. E circa l’8-10% muore entro un anno. Complessivamente, dal 16 al 20% delle persone che sopravvivono a un infarto muore entro 12 mesi dal ricovero. L’obiettivo è ridurre il rischio residuo.
“Ridurre la probabilità di nuovi eventi trattando al meglio tutti gli elementi che contribuiscono alla malattia, il colesterolo è primo fra tutti, quindi ridurre il colesterolo efficacemente e precocemente dopo un infarto migliora l’aspettativa di vita, allunga la vita dei pazienti”, ha sottolineato Colivicchi.
Le tecniche di rivascolarizzazione hanno permesso di dimezzare la mortalità entro i 30 giorni. Ma la mortalità fuori dall’ospedale non è migliorata e questo evidenzia l’importanza di seguire i pazienti in modo adeguato sul territorio per assicurare la continuità delle terapie e della riabilitazione.
“Bisogna fare uno sforzo comune – ha spiegato Colivicchi – per costruire localmente dei percorsi certi in cui il paziente venga preso in carico e venga seguito nel tempo. Solo così possiamo ridurre il rischio di recidive di nuovi infarti e di morte per i nostri pazienti”.
Secondo i dati dell’audit presentati a Rimini è aumentata la percentuale di pazienti che ha raggiunto gli obiettivi terapeutici raccomandati dalle Linee Guida e i livelli di sicurezza del colesterolo, salendo dal 65% a oltre l’80%. In crescita del 10% la quota di pazienti che hanno fatto una visita di controllo a 4-6 settimane dalla dimissione.