> > Massimo Bossetti e Alberto Stasi: le parole dopo l'incontro

Massimo Bossetti e Alberto Stasi: le parole dopo l'incontro

Massimo Bossetti Alberto Stasi

Massimo Bossetti su Alberto Stasi: “Capisco cosa ha vissuto”. Due storie giudiziarie controverse, due condanne, una stessa convinzione: essere vittime di un errore giudiziario.

Massimo Bossetti dice di capire. Capire cosa ha vissuto Alberto Stasi. Capire cosa vuol dire essere condannati per un omicidio che, giura, non ha mai commesso.

Massimo Bossetti e Alberto Stasi, stessa sorte?

Dal carcere di Bollate, dove sconta l’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, Massimo Bossetti ha parlato ai microfoni di Telelombardia, in un’intervista esclusiva. Non di sé, almeno non solo. Ma di un’altra vicenda, di un altro detenuto che, come lui, si dice vittima di un errore giudiziario. Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara Poggi, condannato a 16 anni per il delitto di Garlasco. Due storie diverse, stesso destino, secondo Bossetti. «Non sono così diverse. Mi basta la mia assurda e vergognosa situazione per capire cosa ha passato Stasi», dice. Una solidarietà tra uomini dietro le sbarre. Uniti dalla stessa convinzione: essere finiti in un incubo senza via d’uscita.

Ma Bossetti non si ferma qui. Ce l’ha con la giustizia, con chi, secondo lui, ha deciso di chiudere gli occhi di fronte alla verità. «Ci sono persone che si innamorano di una tesi. Non importa se giusta o sbagliata. La sposano e la difendono fino alla fine», attacca. Parole dure, pesanti, che non si limita a lasciare sospese. «Certi personaggi del tutto incompetenti dovrebbero pagare per i propri errori. Indagini fatte col c**o, e nessuno che si vergogna». Poi l’affondo: «Viviamo in un Paese dove chi di dovere non ti dà nemmeno la possibilità di difenderti». (fonte: Telelombardia)

Massimo Bossetti e Alberto Stasi, gli incontri in carcere,

Massimo Bossetti e Alberto Stasi si sono incontrati più volte nel carcere di Bollate. Due vite che si incrociano in un corridoio, in una mensa, tra le mura fredde di una cella. «Abbiamo vissuto momenti insieme», racconta. E inevitabilmente, ha finito per interessarsi alla sua storia. «Come fai a non seguire il caso di Stasi? Se ne parla ovunque, nei tg, nelle trasmissioni. Meno male che se ne parla», commenta. Come a dire: il silenzio è la vera condanna. Ma poi si ferma. Perché, alla fine, una verità l’ha capita. «Ricordiamoci che nelle carceri ci sono colpevoli. Ma ci sono anche innocenti. E a nessuno frega niente».

Il tono è quello della rabbia trattenuta a stento. L’amarezza di chi si sente tradito da un sistema che dovrebbe garantire giustizia. La voce di chi, condannato per sempre, non smette di gridare la propria innocenza.