Milano, 25 mar.
(Adnkronos Salute) – Nuove immagini di sangue, nuove minacce. L'attentato rivendicato dall'Isis a Mosca, il cui bilancio sembra superare il centinaio di morti, alza di nuovo l'asticella della violenza. In un periodo già buio, segnato dalla guerra in Ucraina e dal conflitto a Gaza fra Israele e Hamas, ai venti di guerra che continuano a soffiare nel cuore dell'Europa si aggiunge il ritorno della paura degli attentati. Che impatto ha sulla psiche delle persone? Il "continuo stato di allerta" ci sta rendendo "sempre più vulnerabili e fragili", erodendo la nostra "capacità di resilienza".
E quando la tensione si impenna, "assistiamo a un progressivo congelamento. La dimensione che maggiormente deve allarmarci è quella dell'indifferenza, perché qui si perde ancora di più la nostra umanità". E' l'analisi dello psichiatra Claudio Mencacci, co-presidente della Società italiana di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf) e direttore emerito di Psichiatria all'Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, che evidenzia all'Adnkronos Salute il rischio connesso a questi continui stati di allerta a cui siamo costretti dai tempi che stiamo vivendo.
"Siamo ritornati al terrorismo di massa – ragiona l'esperto – Dopo aver sperimentato nel post Covid degli episodi di terrorismo più individuale, il ritorno a quello di massa ci fa capire come siamo nuovamente entrati in un'ulteriore variabile di questa era di volatilità e frammentazione. Tema centrale è questo continuum, che ci accompagna a partire ormai dal lontano 11 settembre 2001, a distanza di 23 anni, in un'atmosfera che aggiunge cupezza a cupezza.
Questo si traduce in uno stato di allerta e lo diciamo ormai da anni: stiamo diventando sempre più vulnerabili e fragili. Le capacità di resilienza e di ritornare a una condizione 'post situazione stressante' si stanno riducendo. Pensavamo di aver raggiunto il massimo con la combinazione Covid-guerra-cambiamento climatico e tra l'altro su quest'ultima variabile, con cui facciamo i conti quotidianamente, gli allarmi non sono più posticipabili. A questa situazione, già più che esplosiva, si aggiunge ora questa nuova variabile che introduce nella vita quotidiana un ulteriore fenomeno di allerta e di allarme".
"Come clinici sappiamo che, quando la tensione diventa sempre più esagerata, noi assistiamo progressivamente all'instaurarsi di una situazione quasi di intorpidimento – spiega Mencacci – Non più di ansia e di depressione. Si va oltre, in questa condizione di ottundimento. E allora dobbiamo chiamarla con il suo nome: si entra nella condizione dell'indifferenza. Io sento che il tema è sempre più incalzante", avverte l'esperto. "Diventiamo non sensibili alle ragioni degli altri e anche alle nostre emozioni e vissuti".
E l'indifferenza, continua lo specialista, "poi si staglia sulla perdita di quella che è la capacità che ci rende umani, che è l'empatia, la compassione. Questa è una condizione della quale dovremmo essere sempre più consapevoli. Di fronte a questi tamburi di guerra, questa percezione di sentirsi un po' su un precipizio, con la catastrofe della guerra nucleare imminente e la catastrofe solo rinviata di qualche decina d'anni del cambiamento climatico inarrestabile, il rischio è che scatti questa situazione che non è più solo impotenza, ma è indifferenza".
Il timore? E' che l'indifferenza "diventi un po' come un peccato. L'ottavo peccato capitale", ammonisce lo psichiatra. Serve dunque, conclude Mencacci, "un risveglio delle coscienze. L'invito è a non cedere alla paura, ma a rimanere in connessione sociale, non isolarsi o non dissociarsi da un punto di vista sociale. Non pensare che la propria piccola protezione possa salvare l'individuo dalla collettività".