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L’Italia e il consumo di suolo, GSE: la soluzione è il brownfield

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Un dibattito di GSE Italia ha messo il dito nella piaga: siamo quinti in Europa per consumo di suolo, con normative urbanistiche ferme agli anni ’50. E mentre la domanda di spazi industriali cresce, ci sono 350 milioni di mq di siti dismessi. Basterebbe riqualificarli, ma manca una legge per pianificare lo sviluppo edilizio in maniera sostenibile

L’Italia è al quinto posto in Europa per consumo del suolo, con il 7,16% del territorio nazionale – pari a 21.578 km² – occupato da cemento, asfalto e altre coperture artificiali. Un dato che supera nettamente la media europea del 4%. E il nostro sistema urbanistico, e di conseguenza il settore edilizio, è ancora appeso a una normativa risalente agli anni Cinquanta, figlia del boom economico e di uno sviluppo che a quel tempo non teneva affatto conto di sostenibilità e tutela dell’ambiente.

Il punto è che la domanda di nuovi spazi industriali cresce – basti pensare soltanto al settore della logistica, che ogni anno richiede 1,5 milioni di metri quadrati – mentre in tutto il Paese si contano ben 350 milioni di metri quadrati di edifici industriali dismessi, i cosiddetti “brownfield”, una risorsa non valorizzata.

Brownfield e rigenerazione urbana: una possibile soluzione

Perché non puntare, allora, sulla rigenerazione urbana e sulla circolarità del patrimonio immobiliare che non impatta sul consumo di suolo?

È la domanda da cui ha preso le mosse il dibattito titolato “Rigenerare per costruire: il futuro dell’edilizia parte dal Brownfield”, promosso da GSE Italia e ospitato nel Salone d’Onore della Triennale di Milano, che ha visto la partecipazione di esperti, istituzioni e rappresentanti del mondo accademico e imprenditoriale.

Dai dibattiti dei due tavoli tecnico-istituzionali, moderati dal direttore di notizie.it, Francesco Condoluci, è emersa una proposta pressochè univoca: non serve solo una legge sul consumo del suolo, ma urge una normativa di principi sul governo del territorio. Un testo capace di recepire i cambiamenti della società – demografici, ambientali, economici – e tradurli in una pianificazione strategica, sostenibile e inclusiva.

Suolo, il “costo nascosto” del consumo

Anche perché, come ha sottolineato Michele Munafò, responsabile Rapporto Consumo del Suolo di ISPRA, oggi «il “costo nascosto” del consumo di suolo è elevatissimo: circa 100.000 euro per ettaro, e i suoli occupati artificialmente difficilmente vengono ripristinati». Tra il 2006 e il 2023 in Italia sono stati bruciati oltre 9 miliardi di euro l’anno a causa del consumo di suolo.

Irene Priolo, Assessora all’Ambiente e alla Pianificazione del Territorio dell’Emilia-Romagna, ha ricordato lo stretto rapporto tra consumo di suolo e dissesto idrogeologico: «Le frane e le alluvioni che hanno colpito la mia regione evidenziano la necessità di un approccio olistico – ha detto – Abbiamo una legge sul consumo del suolo, ma è fondamentale integrare parametri come la crescita demografica». Il brownfield può essere una soluzione, ma come primo step serve «una mappatura nazionale unica dei siti degradati per pianificare al meglio le riqualificazioni», sostiene l’Ispra.

Bonifica, oneri troppo alti, bisognerebbe defiscalizzare

Gli altri nodi da sciogliere li hanno indicati con chiarezza i manager delle imprese presenti al dibattito: Valentino Chiarparin, country manager GSE Italia, Antonio Guarascio, managing director di Confluence, e Cristiano Brambilla, senior vice president di Hines Italia. Hanno parlato di «complessità normativa e troppe lungaggini burocratiche sui recuperi dei brownfield», di «esosità degli oneri di bonifica», di «mancanza di una visione strategica» e di «assenza di uniformitànormativa tra Stato e Regioni».

Rosemarie Serrato, avvocato dello studio Advant Nctm, ha fornito una panoramica delle normative in ambito UE: «In Europa ci sono situazioni molto diverse e manca una normativa unica sul consumo del suolo. È difficile trovare un punto di caduta comune, ma la legge ZAN (Zero Artificializzazione Netta) adottata in Francia potrebbe essere un riferimento per una normativa efficace».

Testo Unico delle Costruzioni, cos’è

Anche in Italia, in realtà, esistono modelli virtuosi: un esempio illuminante arriva proprio dalla Lombardia, che vanta il triste primato di regione italiana con il consumo di suolo più alto (12,19%). Silvia Scurati, consigliera regionale in quota Lega, ha illustrato il modello del bilancio ecologico del suolo, introdotto con la legge regionale 31/2014: «Uno strumento che permette di valutare l’impatto ambientale dei progetti edilizi. Inoltre, a Bareggio abbiamo raggiunto l’obiettivo di zero consumo del suolo, dimostrando che la circolarità del patrimonio immobiliare può essere un modello replicabile».

Che fare dunque a livello nazionale? La risposta l’ha data Erica Mazzetti, deputata e componente della Commissione Ambiente a Montecitorio, che ha evidenziato l’urgenza di un Testo Unico delle Costruzioni: «La stratificazione normativa italiana frena gli investimenti dall’estero. Non serve una legge ideologica ma una disciplina per il territorio che tenga conto dei cambiamenti socioeconomici, delle necessità abitative e dei dati ambientali» ha chiosato la responsabile Lavori Pubblici di Forza Italia, assumendosi l’impegno di portare sui tavoli del Parlamento il tema “brownfield”.

Rigenerazione urbana, non serve una legge, serve una governance

Sul piano accademico, è stato Andrea Arcidiacono, Professore di Urbanistica del Politecnico di Milano, a lanciare il messaggio che ha fatto da sintesi a tutta la discussione: «Non serve una legge sulla rigenerazione urbana, ma una normativa di principi sul governo del territorio, capace di pianificare con lungimiranza e non solo di rimediare agli errori del passato».

A fargli eco, l’architetto Giovanni La Varra, che ha ribadito: «Oggi il nostro lavoro consiste troppo spesso nel rimediare agli errori del passato. Serve una visione strategica per il futuro». E l’avvocato Guido Maria Inzaghi ha confermato che «non serve una legge di rigenerazione urbana, ma molto più semplicemente una governance in grado di indicare dove gli investimenti sono possibili e dove no, e di favorire di conseguenza, snellendo le procedure, i progetti sostenibili». Affermazione, quest’ultima, che non può non far ricordare la querelle in atto sul cosiddetto “decreto Salva Milano”.

E in tempi di polarizzazione spinta tra apostoli del Green Deal e negazionisti e di guerre sante tra chi vuole salvare l’ambiente da un lato e chi vuol tutelare l’economia dall’altro, quella di Inzaghi è una posizione mediana e di buon senso che è davvero difficile da non condividere.