Se non fosse stato per il tragico finale, Claretta Petacci sarebbe oggi ricordata, ammesso che lo sarebbe, come una delle tante amanti di Benito Mussolini, niente di più, niente di meno.
Ma il destino ha voltuto diversamente: la morte affrontata con audacia e dignità per amore, solo per amore, l’ha resa grande e ingombrante, lei che sembrava una donna come le altre, famosa solo per essere entrata nelle grazie del Duce, l’ultima favorita come sprezzantemente veniva apostrofata, entra di diritto nella Storia, quella vera, quella dei grandi, per la coerenza con cui ha saputo vivere e morire, per la scelta, sempre sublime, di combattere fino alla fine per l’amore di una vita, fosse anche o forse ancor di più per questo, un amore scomodo, ostacolato, deriso.
E pensare che tutto era iniziato in modo semplice, quasi banale: Clara ragazzina si era presa una cotta per quell’uomo potente e lontano, così come accade per un cantante o un attore.
L’incontro reale, quello che avrebbe cambiato la vita di entrambi, avvenne nell’Aprile del 1932: alla rotonda di Ostia, quel giorno, Mussolini rimase incantato dalla bellezza e dall’esuberanza di questa bella ragazza ventenne, mora, occhi neri, fisico da pin-up; ne nacque una relazione appassionata, bella, importante per entrambi, per Claretta la sola ragione di vita e l’unica valida ragione per morire.
I due amanti vissero alti e bassi, come tutti, momenti idilliaci si alternarono ad altri di stanchezza o di dolore, soprattutto quando Claretta, incinta, perse il figlio che aspettava a causa di una gravidanza extrauterina.
La storia divenne di dominio pubblico e lo scandalo fu inevitabile: Mussolini, sposato con figli ormai grandi, provò a lasciarla, non ci riuscì.
All’inizio del 1945 Mussolini predispose la partenza della famiglia Petacci per l’estero; Claretta si rifiutò di lasciare l’Italia, decise di restare vicina al suo Ben.
Raggiunse l’amante a Milano, poi a Como, infine vennero catturati dai partigiani e fucilati il 28 Aprile.
Dopo averla uccisa, un partigiano strappò dal collo della giovane donna un ciondolo d’oro su cui era scritta una dedica: “Clara, io sono te e tu sei me. Ben”.