Il tennista ribelle, che portava i capelli lunghi e indossava pantaloncini fluorescenti, oggi è un quarantenne.
E dopo una lunga carriera durata 21 anni, che ha raggiunto sia il baratro di questo sport che il suo apice, Andre Agassi si è reso conto che gli è rimasto in dono il corpo di un sessantenne tormentato dal dolore all’anca. Nei giorni peggiori, camminare senza zoppicare è già un successo. Indipendentemente da come si sentirà, lunedì Agassi prenderà la racchetta in mano, ancora una volta, insieme con la moglie Steffi Graf, Martina Navratilova e una mezza dozzina di loro coetanei, per partecipare ad una esibizione presso l’American University Bender Arena organizzata da Billie Jean King e da un amico di lunga data, Sir Elton John.
Il ricavato andrà in beneficenza alla lotta contro l’AIDS.
“Potrei sentire un po’ di dolore, oppure potrei sentirmi benissimo. Non lo so davvero, ma ne vale la pena”, ha detto Agassi in un’intervista telefonica, interrogato sulle sue condizioni fisiche. “Comunque cerco sempre di giocare abbastanza bene per far provare alla gente un po’ di nostalgia. Aspettarsi di più, per me, sarebbe un po’ troppo.” Il fatto che il tennis, per Agassi, abbia più valore adesso che punteggi e risultato contano meno è una delle molteplici contraddizioni che hanno caratterizzato la vita dell’ex campione.
Ritirato dal settembre 2006, quando la corsa del suo ultimo US Open (resa sopportabile solo grazie a dolorose iniezioni di cortisone per alleviare il dolore alla schiena) si concluse al terzo turno, Agassi gioca, in questi giorni, soprattutto per la fondazione che ha creato nel 1994 per aiutare i bambini bisognosi nella natia Las Vegas e per sostenere le iniziative caritatevoli degli amici come la King. Se gli manca qualcosa della vita da professionista, sono i rapporti di amicizia creati durante oltre due decenni, la maggior parte di loro dietro le quinte, con i preparatori atletici, i coach e gli staff dei tornei che si sono presi cura di lui attraverso una vita vissuta tra valigie e campi centrali.
Il resto non gli manca più di tanto.
“Adesso potresti anche dirmi che basterebbe che mi allenassi un po’ per vincere l’Australian Open, ma ti risponderei che sono troppo concentrato su quello che sto facendo in questo momento per ritrovare la voglia”, ha detto Agassi. “Quando mi sono ritirato, non mi sono sentito come se mi stessi allontanando dal gioco, ma come se mi stessi concentrando su qualcos’altro”.
Agassi, pur essendo milionario, si è sentito intrappolato dalla sua professione per la maggior parte della sua vita. Dal primo giorno in cui fu in grado di sgambettare e avvolgere le sue piccole dita attorno al manico di una racchetta, il tennis è stato inculcato nella sua mente e nei suoi muscoli da un padre autoritario e determinato, come un ex pugile olimpico, a produrre un campione dello sport. Grazie al suo talento, lo mandarono a una Tennis Academy quando frequentava le medie, abbandonò la scuola due anni dopo e divenne professionista a 18 anni.
“Mi sono trovato in una vita che non ho scelto”, ha detto Agassi, che ha descritto il suo rapporto di amore-odio con lo sport con un candore disarmante nel suo libro del 2009, “Open”. Così Agassi si infuriò contro il colpevole della sua infelicità, come qualsiasi adolescente farebbe, colpendo con un pugno in un occhio il conformismo del gioco con la sua veste irriverente e con lo slogan “l’immagine è tutto”.
Per un po’ boicottò Wimbledon a causa del suo oppressivo codice di abbigliamento, chiedendosi, a volte, se il giocatore dall’altra parte della rete condividesse il suo risentimento profondo per una vita ripetitiva e senza fine. La cosa ironica, naturalmente, è che Agassi è diventato il miglior giocatore del mondo di tennis, nonostante la sua rabbia, la sua camminata buffa, la sua statura normale (180cm) e i suoi soli 70kg di peso, imponendo il suo gioco anche agli avversari più fisicamente dotati, grazie alla sua abilità di colpire la palla una frazione di secondo in anticipo e alla sua risposta fulminante.
La parabola drammatica della carriera di Agassi è ben nota. Dopo aver vinto Wimbledon nel 1992 (il primo dei suoi otto major), raggiungendo l’apice del ranking mondiale nel 1995, precipitò fuori dalla top 100 nel 1997, anno in cui sposò l’attrice Brooke Shields. Ma nonostante avesse una scusa pronta per spiegare il suo ritiro, scelse di scalare la classifica attraverso l’umiliante circuito dei Challenger. Due anni dopo diventò il quinto giocatore della storia a completare un Career Grand Slam, vincendo l’unico major che gli mancava, gli Open di Francia.
(Adesso fanno parte di questo gruppo d’elite anche Roger Federer e Rafael Nadal). La tumultuosa vita sentimentale di Agassi è stata di simile intensità. Il matrimonio con la Shields, durato solo due anni, è stato seguito da un’unione più duratura con la Graf, sposata nell’ottobre del 2001. Il loro figlio, Jaden, ha 9 anni, la figlia Jaz Elle, ne ha 7. Dal mese scorso fa parte della famiglia un cucciolo atteso da tempo di nome Buster.
Ma la trasformazione interiore di Agassi, in cui il tennis si era trasformato da un veleno a una benedizione, ha dei risvolti molto interessanti. Cominciò quando creò la sua fondazione nel 1994, nel momento in cui la sua carriera stava andando a rotoli. Fin da ragazzo, Agassi ha sempre desiderato fare qualcosa per i giovani in difficoltà. Un desiderio, cresciuto col tempo, di regalare a qualcun altro l’infanzia che gli era stata negata.
La creazione della Andre Agassi Charitable Foundation non solo ha realizzato tale desiderio, ma ha anche dato un senso al suo tennis, trasformando una professione che si era imposta su di lui in una propria scelta di vita. Il tennis era diventato una piattaforma per la raccolta di fondi e per rendere la gente consapevole delle esigenze dei bambini di Las Vegas. Solo in quel momento, ha detto Agassi, ha iniziato a vivere come voleva.
“Quando ho finalmente sentito di aver pieno controllo della mia vita, ho trovato un motivo per avvicinarmi al tennis e sentirlo parte di me stesso”, ha detto Agassi. “Ho sempre pensato che fossi portato per gli sport di squadra, comunque. Ho finito per usare il tennis come un veicolo per fare il lavoro della mia vita. Come risultato ho avuto la crescita del mio amore per questo sport, che mi aiutato non solo ad allungare la carriera oltre i miei limiti fisici, ma anche ad avere una pace interiore”.
Darren Cahill capì questa sinergia dal momento in cui iniziò ad allenare Agassi nel 2002, l’anno dopo la fondazione creò la Andre Agassi College Preparatory Academy a Las Vegas, una scuola per bambini a rischio. Nel 2009 si sono diplomati i primi studenti. “Ha un grande senso di responsabilità, si prende cura delle persone intorno a lui”, ha detto Cahill. “Lo ha sempre fatto con tutte le persone che ha assunto: allenatori, preparatori atletici…
tutti. Ha sempre avuto questa idea di costruire un team perfetto e di prendersi cura di esso, di saltare in trincea insieme e aiutarsi l’un l’altro durante i momenti difficili. E’ una cosa che va oltre il tennis, oltre la fondazione.”.
Ad oggi, la fondazione ha raccolto più di 60 milioni di dollari per i bambini bisognosi nel sud del Nevada. Agassi ci lavora dal 70 all’80% del suo tempo.Una vita, finalmente, in equilibrio.
“Trascorro anno dopo anno, ricordando a me stesso che il tennis fa parte della mia vita, ma alla fine non è la mia priorità”, ha detto Agassi. “Il mio sport mi ha dato l’opportunità per avere un impatto sulla gente. Adesso la mia vita è un’opportunità per avere un impatto ancora più grande”.