Tra tutti gli eventi che scossero la Francia rivoluzionaria, quello della morte violenta di Marat è stato uno dei più celebrati e uno di quelli che ha destato maggiore impressione fra i contemporanei tanto da essere stato ampiamente ricostruito e ricordato in un gran numero di opere d’arte, basti citare il celebre dipinto che ne fece David.
Charlotte Corday era una giovane donna di Caen che seguiva con interesse gli avvenimenti politici dell’epoca; venuta a conoscenza dell’esistenza di un giornalista che adoperava la penna come un’arma mandando a morte centinaia di cittadini, ne nacque in lei un odio tanto profondo e viscerale da spingerla all’ estrema decisione di ucciderlo.
In effetti Marat era tutto meno che un uomo amabile; di origini italiane, precisamente sarde, di cui si vergognò sempre, aveva la tipica personalità del sanguinario, di colui che reputava un dovere insopprimibile l’eliminazione di chiunque professasse idee diverse dalle sue, senza neppure premurarsi di raccogliere prove e testimonianze a favore delle proprie tesi.
Marat era redattore dell’ Ami du peuple, un giornale che più che rivoluzionario oggi potrebbe essere tranquillamente definito “terrorista” , dalle pagine del quale era solito scagliarsi quotidianamente contro tutti coloro che riteneva nemici suoi e della Rivoluzione, adoperando un linguaggio grossolano e dai toni apocalittici spesso infarciti di invettive grottesche ed esageratamente violente.
La ragazza di Caen, giunta a Parigi, non ci mise molto a scoprire l’ abitazione del giornalista, e con una scusa riuscì a convincere la sua gelosa e guardinga compagna, che le aveva aperto la porta, a farsi ammettere in casa e ad essere ricevuta da lui in persona per un colloquio privato.
Nonostante la rabbia repressa e silenziosamente covata da tempo, la giovane provò un’inaspettata pena nei confronti dell’uomo, che la ricevette nella stanza da bagno immerso nella vasca colma d’acqua e medicamenti che dovevano servire a lenire i segni della malattia della pelle di cui soffriva da anni e che aveva contratto, forse, frequentando i vicoli malsani, sporchi e umidi della città; smagrito, stanco, con la testa avvolta in un asciugamano bianco e un cattivo odore che emanava nonostante le cure, sembrava quasi indifeso e molto diverso dall’orco cui avrebbe pensato di imbattersi.
Chissà, probabilmente la Corday sarebbe persino tornata sui suoi passi e avrebbe rinunciato al suo criminale proposito, se dopo aver elencato una lista di nomi che le era servita da pretesto, Marat non avesse esclamato, tronfio e spietato: “Entro 48 ore saranno tutti ghigliottinati” frase che ebbe il potere di “risvegliare” Charlotte dall’iniziale imbarazzo che le aveva impedito,per un attimo, di vedere Marat per ciò che realmente era, un uomo crudele e privo di compassione.
Immediatamente la donna estrasse il pugnale che aveva nascosto nel corpetto e colpì a morte il capopopolo, che colto di sorpresa e impossibilitato a muoversi, nulla potette per salvarsi.
Ovviamente la Cordey fu arrestata ma non mostrò mai alcun segno di pentimento per il gesto commesso, convinta, lei che di certo non aveva mai avuto né l’indole né le caretteristiche della criminale, di essere stata costretta a quell’azione tremenda per salvare la Francia e i Francesi da un tiranno senza scrupoli; durante il breve processo prima della condanna alla ghigliottina, disse: “quando sentii sua moglie piangere mi resi conto che qualcuno aveva potuto amare anche uno come Marat”.