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Il verdetto della Corte europea
La Corte Europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha recentemente dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai legali di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, condannate all’ergastolo per l’omicidio di Sarah Scazzi, la quindicenne brutalmente uccisa ad Avetrana, in provincia di Taranto. Questa decisione segna un punto di svolta significativo in un caso che ha tenuto l’Italia con il fiato sospeso per anni.
Un ricorso lungo sei anni
Il ricorso era stato presentato alla Corte Europea nell’aprile del 2018, e dopo oltre sei anni di attesa, è giunto il responso definitivo. La notizia è stata rivelata in esclusiva durante la trasmissione “Quarto Grado” dal giornalista Giammarco Menga, che ha confermato l’esito del giudizio. Le due donne, rispettivamente cugina e zia della vittima, hanno sempre sostenuto la loro innocenza, contrariamente a Michele Misseri, lo zio di Sarah, che ha ammesso la sua colpevolezza e ha ricevuto una condanna a otto anni di reclusione per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove.
Il contesto del caso
Il caso di Sarah Scazzi ha scosso profondamente l’opinione pubblica italiana, non solo per la brutalità del crimine, ma anche per le intricate dinamiche familiari che lo circondano. Dopo aver beneficiato di una riduzione della pena di 696 giorni, Michele Misseri è stato scarcerato e ha fatto ritorno nella sua abitazione di Avetrana lo scorso febbraio. La sua confessione e le successive dichiarazioni hanno alimentato un clima di tensione e confusione, rendendo il processo ancora più complesso.
Le implicazioni della decisione
La decisione della Corte di Strasburgo rappresenta un ulteriore passo verso la chiusura di un capitolo doloroso per la famiglia di Sarah e per la comunità di Avetrana. La condanna di Sabrina Misseri e Cosima Serrano rimane quindi in vigore, e con essa la certezza che la giustizia, seppur lenta, ha fatto il suo corso. Questo caso continua a sollevare interrogativi sulla giustizia penale in Italia e sul ruolo delle istituzioni nel garantire i diritti degli imputati e delle vittime.