> > "La città proibita", torna Mainetti tra kung-fu e la Roma multietnica

"La città proibita", torna Mainetti tra kung-fu e la Roma multietnica

Roma, 6 mar. (askanews) – Dopo “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Freaks Out”, Gabriele Mainetti arriva al cinema dal 13 marzo (in 400 sale) con “La città proibita”. Un film pieno di contaminazioni, tra scene da kung fu movie alla Tarantino e la Roma multietnica dell’Esquilino, con personaggi pieni di umanità. Racconta la storia di Mei (Yaxi Liu), misteriosa ragazza che dalla Cina arriva nella Capitale per cercare sua sorella e dopo vari giri si ritrova nel ristorante “da Alfredo” il cui proprietario (Luca Zingaretti) è sparito con un’altra donna, lasciando la moglie Sabrina Ferilli e il figlio interpretato da Enrico Borello nei guai e tra i debiti. Il ragazzo e Mei capiscono presto di avere un problema in comune, tra amore e vendette da compiere.

Gabriele Mainetti: Una Roma proibita, un’amore proibito, che parte da una Cina dove è proibito avere più di un figlio, quindi ci sembrava il titolo perfetto. Io volevo raccontare una storia d’amore che avesse a che fare con le arti marziali e si sviluppasse nel nostro quartiere romano dell’Esquilino. Un quartiere multiculturale che potesse raccontare anche questa altra cultura meravigliosa che si porta appunto il kung-fu movie che abbiamo imparato ad amare quando Bruce Lee negli anni 70-72 per l’esattezza ci ha deliziato con quei film pazzeschi”.

Sabrina Ferilli: “È il cinema che fa sognare, è il cinema che ti porta lontano, è il cinema che ti racconta una storia che non hai mai pensato… Quindi l’oltre, la fantasia, la fiaba, però dove poi riconosci i tratti dell’umano, del singolo, del personaggio con tutte le sue sfaccettature, le sue debolezze, le sue forze, comunque con la schiena dritta, sono sempre personaggi che riescono a far fronte a quello che succede quindi sono padroni della loro vita”.

L’interprete di Mei è una stuntwoman cinese che è stata anche controfigura in “Mulan”, nel film è disposta a tutto per vendicarsi, combattendo in sequenze lunghissime. “Un crimine perpetrato in quella maniera – ha scherzato Giallini – io lo ritengo anche giusto, ma magari se la è presa un po’ troppo, ci sono vari tipi di vendetta…”.

Marco Giallini è una sorta di boss dell’Esquilino che disprezza gli stranieri ma li sfrutta a suo piacimento e a cui forse è affidato un monito nel finale: chi rifiuta di aprirsi e cambiare non se la passa tanto bene. Un messaggio anche di speranza per una Roma, da una città bellissima e piena di storia, dall’altra città proibita per molti ma che cerca di reinventarsi.