Dongo è un grazioso borgo del lago di Como, ma nell’immaginario collettivo degli italiani è avvolto da un’aura di inquietudine e di mistero. Lì, il 27 aprile 1945, i partigiani della 52a brigata Garibaldi hanno arrestato il Duce e i gerarchi che cercavano di allontanarsi dall’insurrezione di fine guerra; di lì, nottetempo, Mussolini e Claretta Petacci sono stati trasferiti a Bonzanigo nella cascina De Maria, dove il giorno successivo sarebbero stati prelevati e uccisi, secondo la versione ufficiale (che poi analizziamo) dagli inviati del comando garibaldino Aldo Lampredi e Walter Audisio (meglio noto come «colonnello Valerio »); lì, allineati sul lungolago della Antica Strada Regina, sono stati fucilati Alessandro Pavolini, Paolo Zerbino, Francesco Barracu, Ferdinando Mezzasoma, Marcello Petacci e altri protagonisti della Repubblica sociale; lì, in forma drammatica, si è consumato l’epilogo annunciato del fascismo. Accanto a questi episodi, che veicolano il sapore amaro di una stagione di violenza conclusa nel sangue della resa dei conti, vi è un altro aspetto che rinvia invece all’intrigo, al dubbio, al fascino sottile dell’indicibile. Nella lunga colonna di auto che segue il Duce lungo la sponda occidentale del Lario, non vi sono soltanto fascisti compromessi e smarriti alla ricerca di un’improbabile salvezza: vi è anche una consistente quantità di beni preziosi, pacchi di banconote fresche di stampa, rottami d’oro, gioielli, valuta straniera, titoli di Stato, orologi, fedi nuziali donate alla patria. Sono proprietà di Stato, prelevate dalle casseforti della Repubblica sociale e dai fondi segreti dei ministeri, mescolate a proprietà private (collane e anelli di famiglia, proventi della vendita di immobili, depositi bancari): sono le ricchezze che i fuggiaschi portano con sé come garanzia per il proprio futuro, pensando all’emergenza di un esilio in terra svizzera, o a un trasferimento aereo nella Spagna franchista, o a un’estrema «resistenza» armata in Valtellina. È il cosiddetto «oro di Dongo», sul cui ammontare sono state fatte numerose ipotesi, nessuna delle quali risulta però attendibile per la mancanza di documentazione sicura (8 miliardi di lire, secondo un funzionario amministrativo dei servizi segreti americani; 66 kg di oro e solo 200 milioni di lire secondo un’altra fonte americana). L’incertezza non stupisce: le perquisizioni delle auto e dei bagagli vengono fatte subito dopo l’arresto del Duce e dei gerarchi, in uno scenario dove si incrociano partigiani della 52a brigata, antifascisti dell’ultima ora, cittadini comuni residenti in zona, sfollati giunti da Milano e da altre città, curiosi accorsi da paesi vicini alla notizia dei «fermi eccellenti». Ci sono poi nuove testimonianza e nuove risultanze medico-legali sulla morte di Benito Mussolini e Claretta Petacci che mettono in risalto contraddizioni della versione ufficiali. Ad operare queste nuove analisi è Giovanni Pierucci del policlinico San Matteo di Pavia con i suoi collaboratori (Gianluca Bello, Gabriella Carlesi e Francesco Gavazzeni). Pierucci era già stato chiamato a pronunciarsi sulla morte di Mussolini da Giorgio Pisanò che in appendice al volume su Gli ultimi cinque secondi di Mussolini (1996; tra i maggiori contributi alla ripresa delle discussioni) ne pubblicò la Consulenza medico-legale sul famoso referto autoptico del corpo del Duce operato la mattina del 30 aprile 1945 all’obitorio comunale di Milano dal professor Cattabeni. Nel frattempo, un altro medico del settore, Aldo Alessiani, nel 1989 aveva sottoposto ad una serrata critica le conclusioni autoptiche del Cattabeni rilevandone nel referto clamorose reticenze: Cattabeni non avrebbe indicato l’ora della morte di Mussolini; addirittura non avrebbe contato bene neanche i colpi sul corpo. Andriola e Gigante chiudono in modo apprezzabilmente cauto l’inchiesta: sappiamo oggi cosa non è accaduto; non ancora ciò che realmente è occorso. Ne approfittiamo per qualche rilievo conclusivo che apre a nuove ricerche: intanto perché questa omertà pertinace nel nascondere le vere circostanze della morte di Mussolini? Un’assurdità che di fronte già alle varie e contraddittorie versioni sull’esecuzione di Mussolini fornite da Walter Audisio, ha legittimato ipotesi alternative d’ogni genere, alimentato fertili fantasie, moltiplicato i giustizieri. Dunque quella versione ufficiale nascondeva qualcosa di grosso, doveva celare qualche segreto importante; da cui i morti ammazzati sopraggiunti immediatamente tra i testimoni e i protagonisti dell’evento che avevano manifestato qualche segno di cedimento dinanzi alla consegna del silenzio. Non a caso ad essere ucciso subito fu “Lino”, uno dei due partigiani che avevano custodito Mussolini e la Petacci dal loro arrivo a casa De Maria alla loro morte. “Lino” venne ammazzato appena una settimana dopo Mussolini; pochi giorni dopo fu la volta del “capitano Neri”, il mese dopo della sua compagna, “Gianna”, che ne cercava notizie. Le risultanze dell’inchiesta (come già la ricostruzione di Pisanò), affievoliscono di molto la “pista inglese”, sostenuta plausibilmente fino ad oggi dalle testimonianze di uno dei molti possibili esecutori del Duce, Bruno Lonati, assieme al capitano inglese John Maccarone (testimonianze ritrasmesse nel luglio 2010 da Rai3). Secondo questa ipotesi, la “prima” vera morte di Mussolini sarebbe stata dovuta alla necessità di sottrargli la documentazione scottante che aveva con sé, in particolare il carteggio segreto con Churchill occorso poco prima e soprattutto dopo l’entrata in guerra dell’Italia. Utilizzando nuove, straordinarie tecniche sviluppatesi in questi ultimi anni (quasi alla Csi, Cold Case ecc.) Pierucci e la sua squadra, intervistati tornano oggi in argomento e offrono nuove risultanze. Intanto, con maggior garbo rispetto alle critiche di Alessiani, intervengono sul testo del referto di Cattabeni. Sappiamo che le istruzioni date dal Clnai ai partigiani dell’area di Dongo, dopo la cattura di Mussolini il 27 aprile 1945, riguardano la severità nella sua custodia e l’attenzione che non gli fosse fatto del male. Per ragioni di sicurezza, dunque, il prigioniero e la sua compagna vengono trasferiti il pomeriggio del 27 da Dongo a Germasino prima, e a Bonzanico di Mezzegra, dopo (ore 2-3 del mattino del 28 aprile). I due sono accompagnati dai partigiani Neri, Pedro, Pietro, Gianna, Menefrego e Lino. L’alloggio si trova in cima a una collina. E’ Neri che lo propone perché vi si è rifugiato in passato, durante la lotta partigiana. Di questo gruppo Lino e Menefrego sono addetti alla vigilanza sulla casa; gli altri vanno via. Ma possiamo dire che dal momento della cattura, ad opera di Pedro, all’epilogo il Cln dell’area si trova in uno stato di grave incertezza, in assenza di un serio coordinamento tra i gruppi, e in un vuoto di governo della situazione da parte del Clnai milanese. Tale condizione si concretizza nelle azioni di commando di Walter Audisio, alias colonnello Valerio, e nella doppia anima che traspare dai documenti: quella legalitaria del Cln e quella giustizialista di una parte del gruppo dirigente che lo rappresenta con Longo, Valiani, Parri e Pertini. Da loro sembra derivare il mandato del colonnello. Ma la questione non è solo questa. La morte di Mussolini è segnata da zone d’ombra e contraddizioni. Cruciali sono i dieci minuti impiegati dalla coppia Mussolini/Petacci nel percorso dalla casa dei De Maria al luogo della fucilazione in località Giulino di Mezzegra. Dopo Bandini ed Alessiani un altro grosso macigno contro la versione ufficiale, forse quello più decisivo, lo buttò Giorgio Pisanò grazie al recupero della testimonianza di Dorina Mazzola, una anziana signora al tempo diciannovenne e abitante a Bonzanigo che la mattina del 28 aprile del 1945 assistette, pur senza sapere di chi si trattava, alla uccisione di Claretta Petacci sotto casa sua e ad alcuni precedenti episodi correlati all’uccisione di Mussolini sotto casa De Maria. Con il libro-testimonianza di Pisanò “ Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”, il Saggiatore 1996 si giunse quindi ad una svolta storica, perché per la prima volta si era in presenza di una testimonianza di un teste dell’epoca a quel tempo residente vicino casa De Maria, non di parte, che con il suo racconto svelava finalmente una certa verità rimasta nascosta per mezzo secolo. Proprio un Maestro di cinema come Carlo Lizzani, aveva riproposto il dubbio della doppia fucilazione. Lizzani ha fatto un lavoro storico-cinematografico, girando ben due film imperniati sulla figura di Mussolini (Mussolini ultimo atto e Il processo di Verona) o forse tre se consideriamo anche Maria Josè, l’ultima regina. Sembra quasi che il Duce onirico gli avesse dato la monetina-chiave per studiarlo attentamente. E bisogna dire che è davvero una bella lezione di storia italiana quella che ha donato con questi due film. “Mussolini ultimo atto” del 1974, che tanto aveva contribuito a divulgarla nell’immaginario collettivo, in un passaggio del suo libro di memorie, il regista ha reso noto nel 2007 che Sandro Pertini, un pezzo da novanta della Resistenza, subito dopo aver visto il film, gli scrisse una lettera nella quale affermò: <<…e poi non fu Audisio a eseguire la “sentenza”, ma questo non si deve dire oggi>>. Nel corso degli anni si è molto dibattuto su un altro «tesoro» di Dongo, la documentazione segretissima che Mussolini avrebbe portato con sé. È certo che negli ultimi mesi di Salò il Duce abbia raccolto una serie di carte «compromettenti», selezionandole tra quelle conservate nel suo archivio riservato: scambi epistolari con Hitler e con Churchill, dossier dei servizi segreti su personalità italiane e straniere, rapporti di polizia, informative mirate. L’archivio privato era immenso, circa mezzo milione di fascicoli classificati come «Segreteria particolare del Duce»: una parte era scomparsa il 25 luglio 1943, dopo il colpo di Stato reale che aveva portato alla liquidazione del fascismo; la maggior parte era però rimasta al suo posto, e dopo l’8 settembre era stata trasportata sul lago di Garda. Una parte del tesoro viene però raccolto e inventariato alla presenza dei responsabili partigiani della 52a brigata, in particolare il comandante Pier Luigi Bellini delle Stelle «Pedro», il commissario politico Michele Moretti «Pietro», il vicecommissario Urbano Lazzaro «Bill», il capo di stato maggiore Luigi Canali «capitano Neri»: un lungo elenco che doveva essere composto da quattro/cinque pagine, nel quale si descrivevano beni che occupavano «una stanza e mezza» (come dichiarato dal comandante «Pedro»). È questo il bottino attorno al quale si sviluppa il mistero: si tratta di alcune valigie piene di denaro e titoli di Stato per un valore imprecisato, di un cofanetto con i gioielli sequestrati a Claretta Petacci, di un sacco con 35,880 kg di rottami d’oro, di un pacco con 33 milioni di lire in banconote. Dove viene portata questa parte dell’oro di Dongo? Chi ne decide la destinazione e chi ne effettua il trasferimento? Che fine fanno i fogli dell’inventario sottoscritti dai comandanti della 52a? E, ancora, perché il «capitano Neri» viene prima intimidito, quindi eliminato e fatto sparire nelle acque del lago? E perché scompare nello stesso modo la sua compagna «Gianna» (la donna che materialmente ha scritto le pagine dell’inventario), vista per l’ultima volta sul lungolago mentre cerca notizie del suo uomo? E chi fa fare la stessa fine all’amica della «Gianna», Anna Maria Bianchi, e a suo padre, testimoni scomodi di una verità da tenere nascosta? Denaro e gioielli che scompaiono verso una destinazione ignota, persone messe a tacere per sempre perché «sanno», una storia d’amore appassionato finita nel sangue e, una copertura di silenzi e omertà: le componenti del «giallo» ci sono tutte e l’oro di Dongo ha così alimentato per anni illazioni, sospetti, accuse. In realtà, nella documentazione d’archivio ci sono elementi sufficienti per una ricostruzione attendibile. L’oro di Dongo ha infatti suscitato sin dall’immediato dopoguerra l’interesse della magistratura, con indagini, raccolte di testimonianze, perquisizioni, rinvii a giudizio, arresti e detenzioni preventive. Mentre i momenti successivi sono difficili da ricostruire: sulla morte di Mussolini e della Petacci esistono una ventina di versioni diverse, alcune fornite dai protagonisti, altre da testimonianze dirette e indirette raccolte nel corso degli anni. Le stesse dichiarazioni dei protagonisti non solo non coincidono tra loro, ma si contraddicono quando vengono riproposte a distanza di qualche tempo: ci sono state inchieste giornalistiche, memoriali, ricordi postumi. Come muore Mussolini? A che ora? Dove? La Petacci muore con lui, oppure viene uccisa in altre circostanze? Tra una rivelazione e l’altra, da settant’anni la morte del Duce e della sua giovane amante costituiscono un «feuilleton» mai esaurito. C’è chi ha parlato di esecuzioni avvenute in momenti e luoghi diversi; chi di una messinscena davanti a Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, dove i due sarebbero arrivati già cadaveri; c’è chi ha messo in discussione l’identità del «colonnello Valerio» sostenendo che a sparare fu lo stesso Luigi Longo; c’è chi ha parlato di un ruolo decisivo dei servizi segreti inglesi preoccupati per le possibili rivelazioni di Mussolini sui rapporti tra Churchill e l’Italia fascista; c’è chi sostiene che a sparare sia stato Michele Moretti, chi «Valerio», chi il «capitano Neri», chi Lampredi. In futuro l’interminabile romanzo d’appendice si arricchirà forse di nuove pagine.
L'Oro di Dongo e numerose ipotesi della morte di Benito Mussolini

Come sono state passate le ultime ore di Benito Mussolini prima della sua morte? Che cos'è esattamente il tesoro del Dongo, l'oro che possedeva dal valore di otto miliardi di lire?
In settant’anni di studi e ricostruzioni, gli ultimi giorni e le ultime ore di Benito Mussolini hanno avuto molte versioni. Un altro grande mistero è poi quello del famoso tesoro di Dongo, dal valore di otto miliardi di lire dell’epoca, che era nascosto in valigie e borse dell’autocolonna fuggiasca di tedeschi e gerarchi fascisti. All’oro del duce è dedicato il nuovo libro dello storico Gianni Oliva, uscito per Mondadori: Il tesoro dei vinti.
BIBLIOGRAFIA: Gianni Oliva : La Resistenza alle porte di Torino (prefazione di Guido Quazza); La Repubblica di Salò; La Resistenza. 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945; Il tesoro dei vinti. Il mistero dell’ oro di Dongo; Giorgio Cavalleri : Un giorno nella storia 28 aprile 1945 – Giorgio Cavalleri e Anna Giamminola intervistano Michele Moretti ; Ombre sul lago. I drammatici eventi del Lario nella primavera-estate 1945 (La memoria); La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-1946); Ombre sul lago. Dal carteggio Churchill-Mussolini all’oro del PCI; Fine . Gli ultimi giorni di Benito Mussolini. Roberto Festorazzi : Claretta Petacci. La donna che morì per amore di Mussolini; Mistero Churchill. Settembre 1945: che cosa cercava sul Lario lo statista inglese? Perché si celava dietro l’identità del col. Warden?; I duelli del Duce. Dalle memorie segrete del medico di Mussolini; Mussolini 1945. L’epilogo. Viaggio alla scoperta dei misteri della morte del Duce: luoghi, fatti e personaggi; Tutti gli uomini di Mussolini. I gerarchi alla corte del Duce .Giorgio Pisanò: Il vero volto della guerra civile. Documentario fotografico; Gli ultimi cinque secondi di Mussolini. Carlo Lizzani: Italia anno zero; Filippo Andreani: La storia sbagliata – Un caso d’amore di piombo e di morte