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Il dramma del fiume Natisone
Il 31 maggio scorso, il fiume Natisone ha travolto tre giovani, Patrizia Cormos, Bianca Doros e Cristian Casian Molnar, mentre si trovavano nel greto per scattare alcune foto. La piena improvvisa ha sorpreso i ragazzi, portandoli a una tragica fine. Oggi, la Procura ha avviato un’indagine che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di un capoturno e due addetti della Sala operativa dei vigili del fuoco di Udine, oltre a un infermiere della Sala operativa regionale emergenza sanitaria (Sores) del Friuli Venezia Giulia.
Quattro persone che ora dovranno rispondere di omicidio colposo.
Le indagini e le responsabilità
Mercoledì mattina, i quattro indagati sono stati convocati per fornire la loro versione dei fatti. Tuttavia, i loro avvocati hanno già comunicato che non si presenteranno fino a quando non avranno accesso al fascicolo per comprendere le contestazioni mosse. La posizione degli indagati è differente, poiché le testimonianze raccolte, in particolare quelle di Patrizia Cormos, potrebbero rivelare dettagli cruciali.
Durante le sue ultime telefonate, la giovane invocava aiuto mentre il fiume la inghiottiva insieme ai suoi amici.
Il ruolo dei soccorritori
La scena è stata drammatica: i tre giovani si sono stretti in un abbraccio, cercando di resistere alla forza della corrente, mentre i passanti assistevano impotenti ai tentativi di soccorso. La questione centrale dell’indagine riguarda la mancata attivazione dell’elicottero sanitario del Fvg, che si trovava a pochi minuti di volo da Premariacco.
Nonostante la gravità della situazione, nel primo appello non sono stati segnalati problemi sanitari, portando a una decisione di inviare un velivolo dei vigili del fuoco, il quale è giunto quando i tre ragazzi erano già scomparsi tra le acque.
Le reazioni e le preoccupazioni
Il Dipartimento dei Vigili del fuoco ha espresso fiducia nell’operato della magistratura, sottolineando le capacità tecniche e professionali degli operatori coinvolti. Tuttavia, l’ambiente è scosso, e non solo l’infermiere coinvolto nell’indagine.
Si teme che attribuire responsabilità a un operatore impossibilitato a valutare le condizioni di emergenza possa costituire un pericoloso precedente. L’intero staff è fiducioso che la magistratura chiarirà l’aderenza dell’operato al protocollo, considerando che il coinvolgimento dell’ambito sanitario è avvenuto solo 20 minuti dopo la prima chiamata al 112.