Di fronte al nuovo scenario protezionistico che si sta delineando negli Stati Uniti, l’Europa è chiamata a rispondere con lucidità e lungimiranza. L’adozione di controdazi, sebbene appaia come una risposta immediata e simmetrica, risulta in realtà controproducente: finisce infatti per danneggiare anche le imprese del paese che li introduce. Allo stesso modo, introdurre restrizioni all’importazione di prodotti ritenuti non conformi agli standard europei richiederebbe una reciprocità che oggi non sembra negoziabile con un’amministrazione americana guidata da Donald Trump.
In questo contesto, l’alternativa più efficace consiste nella promozione di accordi spontanei di filiera tra imprese europee. Tali accordi, pur essendo privati, permettono di imporre ai fornitori – anche extra-UE – il rispetto pieno degli standard europei, soprattutto in ambito ambientale e sanitario, senza entrare in contrasto con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Sul fronte delle compensazioni economiche, il recente Consiglio dei ministri ha ipotizzato l’impiego di risorse non impegnate del PNRR e dei fondi di coesione per sostenere le filiere penalizzate dai dazi USA. Sebbene l’utilizzo del PNRR sembri difficilmente realizzabile a causa dei tempi troppo stretti, i fondi di coesione possono rappresentare un’opportunità concreta, a patto che vengano orientati verso automatismi di sostegno, come crediti di imposta per le spese sostenute nella ricerca di nuovi mercati, nella crescita della competitività o nell’adesione a pratiche sostenibili attraverso i menzionati accordi di filiera.
Un altro fronte da esplorare è quello delle misure non tariffarie. L’Unione Europea, per esempio, vieta ai suoi produttori l’uso di sostanze nocive in tutte le fasi della produzione alimentare, ma non può estendere tale divieto ai produttori extra-UE se questi rispettano i limiti massimi di residui tossici previsti dalle normative europee. È quindi possibile che prodotti americani entrino legalmente nel mercato europeo pur essendo ottenuti tramite coltivazioni che impiegano sostanze proibite in Europa. Anche in questo caso, gli accordi di filiera possono rappresentare uno strumento efficace per garantire standard elevati, senza ricorrere a barriere statali che potrebbero innescare ritorsioni.
Non si tratta, a mio avviso, di una strategia “difensiva” sul piano regolatorio, quanto piuttosto di una presa di responsabilità sulla nostra impronta ecologica globale. L’Europa si vanta spesso di aver ridotto il proprio impatto ambientale, ma la verità è che, in molti casi, ha semplicemente delocalizzato l’inquinamento, spostando la produzione – e le conseguenze ambientali – in altri paesi. Una riflessione seria su questo punto potrebbe portare benefici trasversali a tutti i settori produttivi, specie se accompagnata da un alleggerimento di alcune rigidità del Green Deal, che rischiano di trasformarsi in veri e propri dazi interni per le nostre imprese.
Per quanto riguarda gli aiuti di Stato, il sistema italiano è già dotato di un Registro Nazionale degli Aiuti che assicura trasparenza e rispetto delle regole europee. È plausibile che si stia valutando l’introduzione di un nuovo temporary framework, come avvenne durante la pandemia, per permettere margini di manovra straordinari alle imprese colpite da dazi prolungati. Misure di garanzia per assicurare la liquidità o incentivi mirati potrebbero trovare spazio all’interno di questo schema temporaneo, senza compromettere l’equilibrio del mercato unico.
Sul piano politico e istituzionale, non va dimenticato che la politica commerciale è una competenza esclusiva dell’Unione Europea, così come il regime degli aiuti di Stato e le normative sulla concorrenza. Ne deriva che la risposta a questa nuova fase deve necessariamente essere coordinata a livello europeo, evitando ogni tentazione di iniziativa unilaterale da parte degli Stati membri.
Infine, la moratoria concessa prima dell’eventuale applicazione dei dazi rappresenta una finestra di opportunità. L’Europa ha ora l’occasione di far valere il proprio peso, dimostrando che una guerra commerciale con il nostro mercato unico – al pari di quella con la Cina – non porterebbe alcun vincitore. Le pressioni si abbatterebbero soprattutto sui Paesi più piccoli, costretti a negoziare individualmente con Washington. Ecco perché è il momento di rafforzare l’unità europea e di mettere in campo strategie intelligenti, lungimiranti e coerenti con i nostri valori.
*Docente di Politiche dell’Unione Europea – Senior Fellow, School of Government
Luiss – Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli