Il Tribunale ha deferito alla Corte di Giustizia europea il caso di un cittadino bengalese richiedente protezione internazionale, sollevando questioni cruciali sulla prevalenza tra il diritto comunitario e la legge italiana.
Il decreto ‘Paesi sicuri’ rinviato alla Corte Ue dal Tribunale di Bologna
La normativa italiana recente ha introdotto un elenco di “paesi sicuri” con un decreto, affidando così ai centri in Albania l’identificazione dei migranti. Tale decisione ha riacceso il dibattito politico, con il vicepremier Matteo Salvini che mosso alcune critiche nei confronti di questo rinvio.
La richiesta del tribunale mira a ottenere chiarimenti sulla validità della legge nazionale rispetto al diritto dell’Unione e sulla definizione dei “paesi sicuri”. Secondo il presidente del tribunale, Pasquale Liccardo, l’obiettivo è garantire un’applicazione uniforme del diritto europeo. Il quesito si focalizza sul fatto che la nozione di “paese sicuro” si applichi in modo equo anche alle minoranze, spesso perseguitate, mettendo in discussione la logica per cui un Paese possa considerarsi sicuro solo perché lo è per la maggioranza della popolazione.
Bologna: il Tribunale sospende il decreto ‘Paesi sicuri’ e lo invia alla Corte Ue
Il tribunale fa riferimento al caso del Bangladesh, evidenziando come le richieste di protezione siano spesso legate a minoranze vulnerabili, come la comunità LGBTQI+, le vittime di violenze di genere, le minoranze etniche e religiose, e i migranti climatici. La norma italiana, secondo il tribunale, riflette esigenze di controllo migratorio, piuttosto che considerazioni sui reali rischi nei paesi d’origine.
Salvini ha reagito a queste ultime mosse, suggerendo che chi ha opinioni politiche abbandoni la toga, mentre Riccardo Magi di +Europa e Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana accusano il governo di ignorare i vincoli europei.