I gioielli più amati dai romani furono sicuramente gli anelli, che venivano infilati alle dita della mano sinistra.
Il loro uso si diffuse a tal punto che Plinio, inorridito da questa moda come tanti altri suoi colleghi, scrisse: “Commise un delitto funesto per l’umanità chi per primo si mise oro alle dita!”
In effetti, se è vero che durante il periodo repubblicano l’anello d’oro era riservato a una sparuta minoranza di persone appartenenti al rango senatorio (ambasciatori, nobili e cavalieri soprattutto), il suo uso divenne in seguito tanto comune che il Senato stesso decise di porvi un limite, stabilendo che fosse riservato esclusivamente ai cittadini nati da padre e nonno liberi, oltre che possessori di un certo censo.
Accadeva però che anche i non nati liberi, per dare l’impressione di esserlo, solessero mettere un vistoso anello d’oro al dito; spesso avevano gusti grossolani e pacchiani, messi in ridicolo dal grande scrittore Petronio, che a proposito di Trimalchione, divenuto nei secoli l’emblema stesso dell’arricchito, scrive: “Al dito mignolo sinistro portava un grande anello placcato d’oro, mentre all’ultima falange del medio un anello più piccolo, d’oro massiccio, tutto intarsiato con pezzetti di ferro saldato a mo’ di stelline”.
Tale uso dei gioielli era, all’epoca, garanzia di appartenenza ad un basso rango sociale, in tal caso quello dei liberti arricchiti.