Graziano Giralucci ucciso dalle Brigate Rosse nel ‘74, la figlia: "La memoria non sia un’arma politica"

Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola furono le prime due vittime delle Brigate Rosse, oggi vengono celebrate nel Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo: a parlare la figlia di Graziano Giralucci, Silvia

Silvia, la figlia di Graziano Giralucci, ucciso nel ‘74 nella sede dell’Msi di Padova dichiara: “Ho superato il rancore”.

Le parole di Silvia Giralucci

Silvia Giralucci aveva solo tre anni quando suo padre Graziano venne ucciso la mattina del 17 giugno 1974, insieme a Giuseppe Mazzola: due militanti del Movimento sociale italiano assassinati nella sede del partito a Padova.

«Dopo cinquant’anni, di questa vicenda dovrebbero occuparsi gli storici e io dovrei sentirmi libera di andare a trovare mio papà al cimitero senza essere costretta a difendere la sua memoria dagli attacchi e dalle strumentalizzazioni».

La strumentalizzazione della morte

«Per mio padre e Mazzola la strumentalizzazione è cominciata il giorno stesso in cui sono morti. Non sono state considerate due persone ma due fascisti, discriminati da chi li ha uccisi e da chi li spalleggiava, elevati a martiri dai loro camerati e amici. E dura ancora oggi, purtroppo».

Silvia, a tali strumentalizzazioni, come la Giornata delle Vittime del Terrorismo, non ci sta e dichiara:

«Ridurre le persone a simboli e martiri serve a costruirsi un albero genealogico, a sentirsi a propria volta detentori di un credito. La logica del martire porta con sé quella del nemico, sono complementari, e così la memoria diventa un’arma da usare contro gli altri. Ma che cosa c’entriamo, io e mia madre, con tutto questo? Capisco che il mio cognome sia diventato anche un pezzo di storia d’Italia, ma certe celebrazioni io le vivo come un’usurpazione. Oggi servirebbe altro per omaggiare i caduti del terrorismo: una riflessione approfondita sulla violenza, su come si fa politica, sull’umanità degli avversari. Sarebbe ora, ma non so se sarà la volta buona».