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Gianni Morandi, i figli vuotano il sacco: "A casa volavano sberle"

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Gianni Morandi: i figli vuotano il sacco sulla rigida educazione ricevuta dal cantante.

I primi due figli di Gianni Morandi, Marco e Marianna, hanno parlato dell’educazione che i genitori hanno impartito loro. Tra “sberle” e sguardi silenziosi, passando per letture serali piuttosto impegnative: ecco com’è stato crescere con il cantante e l’attrice Laura Efrikian.

Gianni Morandi: i figli parlano delle sberle prese

Nel corso di una lunga intervista al Corriere della Sera, Marco e Marianna Morandi, figli del cantante Gianni e dell’attrice Laura Efrikian, hanno parlato della loro infanzia. I genitori sono stati insieme dal 1966 al 1979 e crescere con loro non è stato affatto semplice. A casa loro “volavano sberle“, specialmente da parte della madre, mentre il padre preferiva sfoderare una specie di sguardo assassino.

L’infanzia di Marco e Marianna Morandi

A casa nostra volavano sberle. Sembra che ne abbia prese di più Marianna“, ha confessato Marco. La sorella ha replicato:

“Non più di quelle che ho restituito a Marco! Mamma era più da mani. A papà bastava guardarci in silenzio e ci passava subito la voglia”.

Morandi e la Efrikian erano molto severi, per cui i figli sono cresciuti a suon di “sberle” e rimproveri. Niente di strano, sia chiaro. Parliamo dell’educazione di un tempo, la stessa che oggi ha lasciato spazio ad un permissivismo eccessivo.

Rigidità anche per le favole della buonanotte

I figli di Morandi non si sono lamentati dell’educazione ricevuta, ma ci hanno tenuto a sottolineare alcuni aspetti eccessivi. Un esempio? Le loro favole della buonanotte erano diverse. Niente Pinocchio, Piccola Fiammiferaia o Pollicino, ma “l’Amleto e L’idiota di Dostoevskij“. Al contrario, Marco e Marianna hanno confessato quali sono state le più grandi mancanze:

“Ci sono mancate cose banali: il gelato con papà, la pizza il sabato sera. Lui veniva sempre preso d’assalto. Forse solo a Monghidoro riuscivamo a mangiare un gelato insieme. (…) Il nostro problema è che non potevamo mai sbagliare, eravamo “i figli di”, sempre con lo sguardo degli altri puntato addosso, da come ci vestivamo a come ci comportavamo”.

La soluzione? Un percorso di analisi, che li ha aiutati a metabolizzare l’infanzia e l’adolescenza accanto a due genitori ‘importanti’.