Giampaolo Morelli ha condiviso la sua esperienza di dislessia, rivelando che, prima di ricevere una diagnosi, veniva percepito come un ragazzo poco intelligente.

La dislessia come unicità nell'apprendimento: la testimonianza di Giampaolo Morelli

Giampaolo Morelli ha condiviso la sua storia a Le Iene, iniziando con una rivelazione personale: da quando era bambino ha sempre lottato con la dislessia.

Racconta di un ricordo ricorrente dei colloqui tra genitori e insegnanti, dove si sentiva dire che era intelligente ma non si impegnava. A differenza di altri ragazzi, sua madre riceveva commenti diversi, venendo informata che lui si sforzava, ma era considerato “un po’ lento”.

Durante il suo intervento, Morelli ha descritto la sua esperienza da piccolo: a soli sette anni, mentre leggeva, aveva l’impressione che le lettere si allontanassero dalle righe, rendendo difficile ricordare informazioni essenziali come nomi di capitali o formule matematiche.

Le frazioni come ettolitri e decametri gli sembravano incomprensibili, quasi inutili nella vita reale. Negli anni ’80, la dislessia non era diagnostica e poco compresa, lasciando i bambini come lui a sentirsi inadeguati e isolati. Oggi, sebbene sia riconosciuta come un disturbo dell’apprendimento, Morelli sottolinea come la dislessia possa anche rappresentare un modo unico di pensare, paragonandosi a geni storici come Da Vinci e Einstein, il cui cervello funzionava in modo distinto.

Il punto di vista di Giampaolo Morelli

In conclusione, Giampaolo ha affermato: «Sì, poiché noi dislessici possediamo un approccio unico nell’apprendere, che diventa problematico solo quando si insiste su metodi didattici standard per tutti, invece di personalizzare l’insegnamento in base alle peculiarità di ciascun alunno e valorizzarle».