Nel corso di un dialogo unilaterale, la voce di un uomo visita suo padre, un genitore che quasi non lo riconosce più a causa di una malattia che graduale cancella la sua memoria.
Gabriele Corsi, ospite nel salotto di Francesca Fialdini, affronta delicatamente la tematica: «Sono consapevole che ci sono molti pregiudizi intorno alla malattia mentale, il disturbo psichiatrico fa paura». Corsi, sinceramente, parla dell’opera “Che bella giornata, speriamo che non piova”, una narrazione di follia, memoria persa e ritrovata: “Questo libro riguarda il mio periodo come obiettore di coscienza in un’istituzione per pazienti con problemi mentali. Ora quell’esperienza ritorna alla luce data la malattia degenerativa di mio padre”.
In seguito rivela: «L’uomo che sono oggi è il risultato di quell’esperienza e della situazione attuale di mio padre: ho iniziato a piangere troppo in ritardo, ho compreso l’importanza di esprimere il nostro affetto alle persone a noi vicine». Con gli occhi lucidi, saluta il pubblico: «Mi sono reso conto che mio padre e io abbiamo condiviso molto in questi silenzi. Desidereremmo mantenere per tutta la vita la sensazione di sicurezza che proviamo con i nostri genitori, ma poi cresciamo.
Sono orgoglioso di mio padre. Si è dimesso dal suo lavoro perché non voleva contribuire alla produzione di armi, una potente decisione etica; io spero di poter seguire il suo esempio».