Roma, 9 mar.
(Labitalia) – Dopo un anno di decreto Dignità il saldo delle posizioni lavorative è stato di +338 mila unità. Ma nei 12 mesi precedenti il saldo era stato di +420 mila unità. E' quanto emerge dall'approfondimento di oggi della Fondazione studi consulenti del lavoro che traccia un bilancio degli effetti prodotti sul mercato del lavoro dal decreto legge n. 87 del 12 luglio 2018, meglio noto come 'decreto Dignità', con cui il legislatore ha modificato la disciplina del decreto legislativo n.
81 del 15 giugno 2015 in materia di contratto di lavoro a tempo determinato e somministrazione di lavoro.
Utilizzando come metro di giudizio i dati Inps e Istat sull’occupazione, nel documento si analizzano in chiave occupazionale i risultati ottenuti con questo provvedimento, introdotto con l'obiettivo di contrastare fenomeni di precarizzazione in ambito lavorativo e salvaguardare i livelli occupazionali. Secondo i consulenti del lavoro a seguito di un’attenta analisi dei dati forniti dall’Inps è possibile valutare che numerosi datori di lavoro, al fine di ottemperare alle disposizioni introdotte dal decreto Dignità in tema di contratti a termine, hanno anticipato la stabilizzazione di molti contratti temporanei non più prorogabili.
Parimenti, allo scopo di gestire la componente di lavoro non stabilmente impiegata nei processi produttivi aziendali, gli stessi datori di lavoro hanno utilizzato differenti istituti.
Dall’analisi delle variazioni nette per tipologia di contratti dei dati Inps, nel periodo di riferimento da luglio 2018 a giugno 2019, emerge, sostengono i consulenti nel loro documento, l’aumento dei contratti tempo indeterminato (+353 mila) che è dovuto anche all’effetto delle 655 mila trasformazioni di contratti a termine.
Si ipotizza che in molti casi si sia trattato di un anticipo della stabilizzazione del lavoratore, in quanto l’incidenza media delle trasformazioni sui contratti a tempo indeterminato è passata dal 25% al 35% (nel periodo che va da luglio 2018 a giugno 2019) per poi scendere al 30% nel semestre successivo.
E ancora secondo i consulenti del lavoro per effetto delle trasformazioni i contratti a termine diminuiscono di 184 mila unità e diminuiscono anche i contratti in somministrazione (-10 mila); aumentano i contratti in apprendistato (+77 mila); aumentano i precari non interessati dai vincoli del decreto Dignità: contratti stagionali (+50 mila) e contratti intermittenti (+50 mila).
E i consulenti del lavoro sottolineano che, esaminando il numero di occupati in tre annualità non solari, è possibile rilevare che nei primi 12 mesi di vigenza del decreto Dignità, seppur venga confermato un aumento generale dell’occupazione di 114 mila occupati (+0.5%), tale incremento sia caratterizzato dalla diminuzione del tempo indeterminato di 53 mila unità (-0,4%) e da un ampliamento di 142 mila occupati a termine (+4,9%). È altresì importante precisare che il citato aumento dell’occupazione nel primo anno di vigenza del decreto Dignità risulta essere più che dimezzato se raffrontato con l’analogo periodo immediatamente precedente (luglio 2017 – giugno 2018), in cui si era registrato un incremento di 279 mila unità (+1,2%).
I dati delle Forze di lavoro, inoltre, permettono, sottolineano i consulenti del lavoro, di valutare l’impatto sulla componente dell’occupazione giovanile e femminile. Tali categorie, come noto, rientrano nel piano di incentivi contributivi per le nuove assunzioni introdotto con la legge n. 178/2020, fortemente orientata a promuovere occupazione stabile tra i segmenti più marginali del mercato del lavoro. Se viene preso in considerazione il sopraindicato aumento generale di 142 mila occupati a tempo determinato, si riscontra che la metà di questi soggetti è di genere femminile (+75 mila).
Dato ancora più allarmante, peraltro, è che la diminuzione di 53 mila unità a tempo indeterminato interessa quasi esclusivamente le donne (-43 mila).
Riferendo tale analisi ai soli giovani, si riscontra una diminuzione percentuale di assunzioni a tempo indeterminato di under 35 pari al 31%, con un aumento, tuttavia, dei contratti di lavoro a tempo determinato pari al 50%, in piena controtendenza rispetto all’obiettivo prefissato dal legislatore. Secondo i consulenti del lavoro quindi le disposizioni introdotte dal decreto Dignità, seppur nell’ambito di un aumento degli occupati, abbiano impattato in termini negativi rispetto al trend registrato negli anni immediatamente precedenti alla riforma.
Alla luce dei risultati ottenuti, peraltro, è utile chiedersi se tali disposizioni rispondano alle esigenze di un mercato del lavoro che, complice la pandemia, risulta in repentina evoluzione e se possano quantomeno tutelare le categorie di lavoratori ritenuti svantaggiati e coinvolti dalle politiche occupazionali incentivanti introdotte negli ultimi anni.
Segnali in tal senso, sottolineano i consulenti del lavoro, si possono cogliere dallo stesso legislatore che, allo scopo di consentire ai datori di lavoro di gestire con più flessibilità i rapporti di lavoro durante l’ultimo anno, ha apportato temporanee ma significative modifiche derogatorie alla disciplina dei contratti a termine.
La suddetta previsione normativa emergenziale denota una consapevolezza generale circa l’incompatibilità delle restrizioni introdotte dal decreto Dignità rispetto alla realtà nostrana, in cui, ai fini di una difficile ripresa del mercato del lavoro, si riscontra la necessità di flessibilità e abbattimento dei costi.
Sebbene per espressa previsione normativa il rapporto di lavoro subordinato trovi la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato, i contratti a termine, in un’ottica di utilizzo virtuoso, possono rappresentare, sostengono i consulenti del lavoro, uno strumento volto a soddisfare le esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori.
In tal senso, alla luce anche delle valutazioni statistiche sopra argomentate, appare chiara l’incapacità di innescare processi reali di consolidamento del lavoro che, malgrado continui interventi volti ad incentivare il ricorso al lavoro a tempo indeterminato, vede crescere il ricorso alla flessibilità. È evidente, concludono i consulenti del lavoro, che il mercato del lavoro non si possa stabilizzare attraverso la rigidità in entrata, bensì creando condizioni che rispondano ai nuovi modelli organizzativi, contraddistinti da una concezione del lavoro più flessibile e da una maggiore innovazione delle dinamiche produttive nelle imprese.