Roma, 20 apr.
(Labitalia) – Sono 6 milioni 145 mila i lavoratori di 'prossimità' in Italia – camerieri, commessi, operatori sanitari e infermieri, parrucchieri ed estetiste – che per svolgere le proprie mansioni necessitano del contatto diretto, in alcuni casi fisico, con il pubblico. Si tratta di una quota importante dell’occupazione italiana (il 26,5%) concentrata maggiormente nel Nord Italia (48,7%) che, man mano che il lockdown inizierà ad alleggerirsi, si troverà a modificare il proprio stile di lavoro.
Non solo mascherine e guanti, obbligatori per tutti, ma anche dispositivi specifici di protezione e una riorganizzazione dell’attività per garantire quel distanziamento sociale destinato ad accompagnarci ancora per i prossimi mesi. È la fotografia scattata dalla Fondazione studi consulenti del lavoro nell’indagine 'Come cambieranno le professioni di prossimità', contenente una classifica dei lavoratori maggiormente esposti al contagio e più bisognosi di tutele per la Fase 2.
Il primo grande gruppo (1 milione 723 mila lavoratori, il 28%) è rappresentato da commercianti e addetti alle vendite, ovvero quanti lavorano a diverso titolo nel commercio.
Un universo molto vario che va dall’alimentare che non ha mai smesso di lavorare, salvo rare eccezioni, all’abbigliamento, uno dei settori più penalizzati dalle chiusure.
A seguire, gli esercenti e gli addetti alle attività di ristorazione (1 milione 154 mila, il 18,8%) che dovranno agire con un diverso modello organizzativo. A partire dagli spazi, che dovranno inevitabilmente essere riprogettati per garantire adeguata distanza (tra tavoli e persone), fino ai tempi di lavoro.
La riapertura in alcuni casi sarà accompagnata da inevitabili esuberi di organico, non solo per effetto del blocco delle attività a partire da marzo, ma anche per la contrazione del giro d’affari che caratterizzerà i prossimi mesi.
Ci sono poi le professioni sanitarie, impegnate in prima linea nell’emergenza sanitaria da Covid-19: 976 mila gli addetti tra tecnici (radiologi, fisioterapisti, etc) e figure qualificate nei servizi sanitari e assistenziali (infermieri, operatori sanitari, etc), a cui si aggiungono 302 mila medici.
Settore che dovrà largamente rivedere procedure e tecniche di lavoro per garantire quanto più possibile la sicurezza propria e dei pazienti: dai dispositivi di sicurezza alla formazione su tecniche e procedure di prevenzione da adottare.
Al quarto posto (con 776 mila occupati, il 12,6%) ci sono poi tutti quei lavori che riguardano la fornitura di servizi personali: parrucchieri e barbieri, estetisti, massaggiatori, logopedisti, etc. Professioni che dovranno riorganizzare gli spazi, contingentare le entrate, fare maggiore attenzione per l’igiene e la cura dei locali e degli strumenti di lavoro.
Infine, uno dei settori di cui si è parlato forse meno è rappresentato dai tanti operatori che svolgono servizi di pulizia a domicilio (449 mila, il 7,3%), per lo più sospesi nel corso dell’emergenza, che saranno i primi a riprendere. In questo caso è facile pensare che, a parte la temporanea sospensione dell’attività, poco cambi all’interno delle mura domestiche, salvo il rispetto di quelle norme minime di sicurezza che ormai contraddistinguono ogni rapporto sociale, anche in famiglia.
"L’uscita dal lockdown imporrà a molte di queste professioni un cambiamento, non sempre facile, della modalità di lavoro", spiega il presidente del Fondazione studi consulenti del lavoro, Rosario De Luca. “Bisognerà fare i conti con una revisione dell’organizzazione dei luoghi di lavoro, assicurare il contingentamento degli accessi, fornire protezioni individuali e garantire una maggiore attenzione all’igiene e alla cura dei locali. Si tratterà di un cambio epocale, di cui peraltro non se ne conosce la durata.
E ciò renderà particolarmente difficile l’adattamento ai nuovi modelli organizzativi delle aziende più piccole”, conclude.