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Dopo ore e ore di interrogatorio, Riccardo -giovane 17enne- ha ammesso di aver ucciso il padre, la madre e il fratellino di 12 anni nella loro casa di Paderno Dugnano.
Non è il primo caso in cui i figli -a volte ancora minorenni- sono gli autori dell’omicidio dei propri genitori.
Freddezza, ferocia e violenza: i lividi dell’anima che annientano il sé
Quando l’affetto filiale si trasforma in una tragedia senza precedenti, emerge un cupo e inquietante scenario di violenza all’interno delle famiglie.
Cosa spinge un figlio a compiere un atto così atroce?
Quando i legami familiari si trasformano in un terribile inferno, ci troviamo immersi in un buco nero di violenza che dilania le fondamenta della società.
Questo oscuro vortice di violenza familiare rappresenta un fenomeno inquietante e complesso. Le dinamiche che portano i figli a commettere il peggiore dei crimini contro i propri genitori richiedono un’analisi psicologica e sociologica approfondita.
Attraverso uno sguardo professionale possiamo cercare di comprendere le cause di questo orrore, esplorando la fragilità delle relazioni familiari, le pressioni sociali, le disfunzioni psicologiche e gli eventi traumatici che possono condurre al compimento di tali gesti estremi.
Dal punto di vista psicologico, l’analisi si concentra sulle dinamiche intrafamiliari, come la presenza di disturbi mentali o di un ambiente familiare disfunzionale. Inoltre, viene indagato il ruolo dell’identità individuale, dell’autostima e della gestione delle emozioni nel determinare tali comportamenti estremi. Dal punto di vista sociologico, l’analisi si sposta sulla dimensione sociale, esaminando fattori come la marginalizzazione, l’isolamento sociale e la mancanza di supporto comunitario.
Inoltre, vengono esplorati gli effetti dell’esposizione alla violenza e alla criminalità nella vita di questi individui. Un approccio interdisciplinare è fondamentale per comprendere appieno le radici di questa tragica realtà.
Figli che uccidono i genitori: i casi più eclatanti
In Italia, il 43% degli omicidi avviene all’interno delle mura domestiche, mentre al nord questa percentuale aumenta a uno su due. Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno, dal 1° gennaio al 25 agosto sono stati commessi 186 omicidi nel nostro Paese, di cui 88 all’interno delle famiglie, quasi la metà del totale.
Una lunga lista di crimini che continua ad allungarsi.
Tra i casi più noti troviamo quelli di Doretta Graneris e Ferdinando Carretta.
Uno degli omicidi più vecchi risale al 13 novembre 1975 a Vercelli: Doretta Graneris, appena diciottenne, sparò diversi colpi di pistola alla madre, al padre, al fratellino di 13 anni e ai nonni materni. Insieme a lei, in questo massacro familiare, partecipa anche il fidanzato Guido Badini. Da un po’ di tempo, la ragazza, era in disaccordo con la sua famiglia ed era andata a convivere con il fidanzato da alcuni mesi.
Il 4 agosto 1989, a Parma, è invece Ferdinando Carretta ad uccidere a colpi di pistola il padre Giuseppe, la madre Marta e il fratello Nicola, gettando poi i corpi in una discarica. Nove anni dopo, rintracciato nel Regno Unito, ha confessato i tre omicidi e l’odio paterno davanti alle telecamere del programma “Chi l’ha visto?”. È stato dichiarato incapace di intendere e volere ed è morto all’età di 61 anni.
Il 17 aprile 1991 Pietro Maso, allora ventenne, massacrò i genitori Antonio e Rosa nella loro casa a Montecchia di Crosara (Verona) utilizzando un tubo di ferro e una pentola. Gli amici Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano Burato parteciparono all’omicidio. Maso è stato condannato a 30 anni di prigione, mentre gli amici a 26 e l’allora minorenne Burato a 13. Nel 2008 Pietro è riuscito ad ottenere la semilibertà e ha terminato la sua pena nel 2013 grazie all’indulto.
Nel 2023 è stato nuovamente indagato per un tentativo di estorsione ai danni delle sue sorelle.
Il 7 gennaio 1998 a Cadrezzate (Varese), è stato Elia Del Grande ad uccidere il padre, la madre e il fratello con un fucile, allo scopo di impossessarsi dei soldi di famiglia. E’ stato arrestato in Svizzera durante un normale controllo di routine.
Il 21 febbraio del 2001 è la volta di Erika De Nardo. L’allora sedicenne, residente a Novi Ligure (Alessandria), uccise la madre Susy e il fratellino undicenne insieme al suo fidanzato Omar.
Secondo le testimonianze di Erika, che inizialmente cercò di depistare le indagini ma è stata scoperta grazie alle microspie della polizia, il movente del delitto sarebbe da attribuire ai cattivi rapporti con la madre. Erika ed Omar vennero condannati rispettivamente a sedici e quattordici anni di carcere. Entrambi sono ora fuori dal carcere; Erika si è laureata in filosofia, ottenendo il perdono del padre, il quale le è sempre rimasto accanto.
Il 30 dicembre 2015 Federico Bigotti, ventiduenne residente a Città di Castello (Perugia), assassinò la madre Anna Maria con otto coltellate prima di postare una foto sorridendo insieme alla scritta: “Le carezze sui graffi si sentono di più”.
A causa della sua incapacità mentale stabilita durante il processo giudiziario è stato ricoverato in una struttura psichiatrica.
Nel corso del 2021 abbiamo assistito ad altri due episodi tragici che hanno fatto scalpore. Il 4 gennaio Benno Neumair, trentunenne residente a Bolzano, ha strangolato entrambi i genitori Peter e Laura Perselli utilizzando una corda per l’arrampicata; successivamente, ha gettato i loro corpi nel fiume Adige. Ha confessato dopo che i corpi erano stati rinvenuti dai soccorritori stessi negli abissi fluviali ed è stato condannato all’ergastolo per questo duplice omicidio.
Sei mesi dopo, nel mese di maggio, le due sorelle Paola e Silvia Zani rispettivamente ventiseienne e diciannovenne hanno assassinato la madre Laura Ziliani soffocandola per poi seppellirla. Le due ragazze, insieme al fidanzato della sorella più grande, hanno ricevuto l’ergastolo.
Quale ruolo potrebbe svolgere la società nel prevenire e affrontare questo tipo di crimini?