Milano, 23 mag. (Adnkronos Salute) – Telemedicina ancora al palo in Italia. "Tra le prestazioni oggi erogabili in televisita, la quota di quelle effettivamente fornite è tra l'1% e il 5% nell'86% delle aziende sanitarie che dispongono del servizio". E' il dato estratto per Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere, da una ricerca dell'Osservatorio Sanità digitale del Politecnico di Milano, presentata oggi nel capoluogo lombardo. "Stiamo utilizzando solo l'1% delle potenzialità attuali dei sistemi di telemedicina", denuncia il presidente Fiaso, Giovanni Migliore. "Attraverso la tecnologia potremmo migliorare l'efficienza, l'accessibilità e la qualità delle cure, ma non riusciamo a superare barriere che impediscono una più ampia adozione dei servizi in favore dei pazienti". Ostacoli "regolamentari, culturali e organizzativi" che "è necessario abbattere – esorta Migliore – per colmare il divario tra i servizi disponibili e il loro effettivo impiego".
Dalla ricerca del PoliMi – riporta Fiaso – emerge che il 40% delle strutture sanitarie pubbliche ha attivato stabilmente servizi di televisita (visita a distanza tra medico e paziente), mentre un altro 40% ha in corso sperimentazioni o le attiverà entro fine anno. Il teleconsulto (consulenza a distanza tra medici o tra un medico e altri operatori sanitari per discutere di casi clinici complessi) è utilizzato nel 52% delle aziende, seguito dai servizi di telemonitoraggio al 40%. Il 29% delle strutture ha attivato o sta sperimentando servizi di teleconsulto tra medici di medicina generale e ospedale. Ma "alla vivacità delle iniziative nel campo dell'innovazione e della telemedicina, che vengono svolte in molte aziende – sottolinea Migliore – non si accompagna il cambiamento nelle regole che è il vero presupposto per una diffusione su larga scala di questa modalità assistenziale".
"La telemedicina – rimarca il presidente Fiaso – potrebbe essere di grande aiuto nella risoluzione di due grandi problemi della sanità, come la mancanza del personale sanitario e le liste d'attesa". Ad esempio, "potremmo portare visite specialistiche in aree periferiche, ottimizzando la gestione del tempo dei medici e dei pazienti, riducendo l'attesa per appuntamenti e follow-up". Ancora, si potrebbe "effettuare il monitoraggio costante dei pazienti con malattie croniche al loro domicilio, portare ciò di cui il paziente ha bisogno lì dove ne ha bisogno. Tutto questo non deve più restare circoscritto negli appuntamenti sulla telemedicina, ma dovrebbe fare effettivamente parte del patrimonio del nostro sistema sanitario nazionale".
Tra le barriere individuate dalle aziende rispetto allo sviluppo dell'innovazione digitale, ci sono "le risorse economiche limitate. Per i servizi di telemedicina – ricorda Fiaso – sono stati stanziati dal Pnrr circa 1,5 miliardi di euro. In realtà, però, l'impatto sulla spesa per la sanità digitale deve ancora manifestarsi appieno, nonostante" nel 2023 "ci sia stato un aumento del 22% rispetto al 2022" della spesa per la sanità digitale in Italia, a 2,2 miliardi.
"In questo momento le risorse ci sono e non possiamo più perdere tempo", avverte Migliore. "Dobbiamo potenziare l'Agenzia italiana per la sanità digitale, fare formazione per sviluppare competenze e professionalità nuove, dai dirigenti per i quali lo stesso Pnrr ha previsto e finanziato corsi, giù a caduta sugli altri attori del servizio sanitario, fino ai medici di medicina generale. Dobbiamo fare tutti di più – insiste – per colmare il divario tra i servizi disponibili e il loro effettivo utilizzo".
Riguardo alle barriere culturali che frenano l'impiego dei servizi di telemedicina, qualche segnale positivo emerge: il 66% delle direzioni strategiche ha dichiarato che sta iniziando a esserci consapevolezza da parte della maggior parte dei professionisti rispetto ai benefici della telemedicina; nel 28% dei professionisti c'è piena consapevolezza e positività, e si stanno progressivamente impiegando indicatori per misurarne l'impatto sui servizi erogati.