L’ex pastore Beniamino Zuncheddu è intervenuto al Festival Giustizia a Modena, raccontando la sua esperienza. L’uomo è stato in carcere per 33 anni per un crimine che non ha commesso.
L’ingiusta condanna all’ergastolo
Zuncheddu era stato condannato all’ergastolo per la strage del Sinnai dell’8 gennaio 1991, che causò tre morti e un ferito grave. Nel processo di revisione, la Corte d’appello penale di Roma ha stabilito, con la sentenza del 26 gennaio 2024, che l’uomo era innocente. Ora Zuncheddu ha 60 anni e una vita da ricostruire.
Afferma Zuncheddu: “Prendere una persona tranquilla, innocente e incarcerarla per un crimine che non ha commesso è un’oscenità. La condanna che ho subito non ha colpito soltanto me, ma la mia famiglia, tutti i miei amici e il mio paese. Quando mi hanno condannato mi sono sentito già morto. Ricordo il giorno della sentenza. E’ stato come se mi fosse caduta una montagna addosso.”
Le mancate scuse dello Stato
L’amore di amici e famiglia hanno però sostenuto l’ex pastore in tutti questi anni.
“In carcere non mi sono mai arreso e ho sempre creduto che, prima o poi, avrei avuto giustizia. Ho pensato che avrei continuato a lottare fino all’ultimo respiro, ma sono stati l’amore della mia famiglia e la fiducia degli amici del paese, a darmi la forza per andare avanti”.
Prosegue Zancheddu, raccontando la sua vita da uomo libero: “Mi sto ancora abituando anche se adesso non ho niente: se non ci fosse la mia famiglia, dormirei per strada. Inoltre, quando sono stato carcerato non esistevano i cellulari, non c’era l’euro: oggi ho un telefonino, ma devo ancora imparare a usarlo. In questi mesi ricevuto tante lettere, moltissimi messaggi d’affetto”.
Conclude: “Oggi sono qui perché spero che casi simili al mio non avvengano più. Dopo questi anni in carcere, mi sarei aspettato almeno qualche scusa da parte dello Stato, ma non è arrivato nulla”.