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Effetto Trump sui mercati finanziari: chi guadagna e chi perde dopo i suoi tweet

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Dazi, tweet e strategie comunicative: come Trump influenza le Borse globali. Chi guadagna, chi perde, e perché si parla di insider trading

C’è chi fa politica con i decreti. E chi con i tweet. Donald Trump appartiene alla seconda categoria. Ma a differenza di altri, ogni suo annuncio — specialmente se riguarda dazi, tasse o Big Tech — provoca scosse immediate sui mercati globali. E spesso, dietro le quinte, ci sono guadagni (e sospetti) non trascurabili.

Negli ultimi giorni, dopo aver esentato smartphone e PC dai dazi contro la Cina, Trump ha lasciato intendere che l’esenzione potrebbe non durare: “Presto nuove tariffe sui semiconduttori“, ha dichiarato. Apriti cielo. Il settore tecnologico — già provato — si è agitato: Nvidia, Apple, Alphabet e Amazon hanno vissuto ore di forte volatilità. Alcuni titoli hanno ripreso quota grazie all’esenzione, altri hanno perso terreno di fronte all’incertezza.

Effetto The Donald sulle Borse, chi ci guadagna (e chi no)

Apple, ad esempio, ha beneficiato temporaneamente dello stop ai dazi su hardware, visto che l’80% degli iPhone viene ancora prodotto in Cina. Anche Dell e altre aziende hi-tech legate alla produzione asiatica hanno tirato un sospiro di sollievo.

Ma la festa potrebbe durare poco: nuove tariffe sui chip — vero motore dell’intelligenza artificiale e del cloud computing — sono già sul tavolo. E colpirebbero pesantemente anche aziende americane, come Nvidia, che negli ultimi mesi ha visto la sua capitalizzazione oscillare in modo netto dopo ogni uscita pubblica dell’ex Presidente.

Trump, insider trading: solo un sospetto?

Poi c’è il fronte più torbido. Pochi giorni fa Trump ha scritto sul social Truth “Questo è il momento di comprare”. Poche ore dopo, è filtrata l’indiscrezione sul congelamento dei dazi. Alcuni analisti parlano apertamente di possibile insider trading, o quanto meno di manipolazione delle aspettative. Il tema è già finito sui tavoli di alcune commissioni parlamentari.

La senatrice Elizabeth Warren, insieme ad altri colleghi del Partito Democratico, ha scritto alla SEC (Securities and Exchange Commission) sollecitando un’indagine formale. L’obiettivo: verificare se esponenti dell’amministrazione o persone vicine al presidente — compresi familiari — abbiano approfittato di informazioni riservate, in particolare sulla pausa nei dazi commerciali, per realizzare guadagni finanziari indebiti.

“Chiediamo alla SEC di indagare per stabilire se l’annuncio dei dazi, che ha provocato il crollo dei mercati e la conseguente parziale ripresa, abbia arricchito esponenti dell’amministrazione e amici ai danni degli americani”, si legge nella lettera.

Un passaggio chiave del documento chiede alla SEC di accertare se ci siano state transazioni sospette effettuate da soggetti con accesso privilegiato a decisioni presidenziali, prima dell’annuncio ufficiale di Trump. Al momento, non c’è alcuna conferma che sia in corso un’indagine, ma la richiesta formale getta più di un’ombra sulle modalità con cui la comunicazione politica può trasformarsi in leva finanziaria per pochi.

Europa contro America First

Nel frattempo, l’altra metà della partita si gioca con Bruxelles. Il commissario UE al commercio, Maros Sefcovic, è a Washington per evitare lo scontro frontale. Ma se il dialogo salta, la Commissione potrebbe varare una tassa mirata sulla pubblicità digitale e sulle piattaforme americane, da Meta a Google. Anche perché, tra IVA non pagata e accuse di dominio, le Big Tech USA sono da tempo nel mirino.

A Bruxelles si ragiona anche su strumenti più aggressivi: restrizioni su investimenti, blocco a licenze, limitazioni sulla proprietà intellettuale. La Ue è pronta a usare l’Anti-Coercion Instrument contro le mosse unilaterali americane. E se Trump dovesse insistere con i suoi tweet e le sue misure draconiane (paventate più che messe in atto) sulle barriere tariffarie, lo scontro rischia di diventare strutturale.

Borse, quando la comunicazione sposta i miliardi

Resta il fatto che la guerra dei dazi al momento si sta combattendo più a suon di annunci che  di misure vere e proprie, mostrando come la comunicazione, se usata in maniera artata, può diventare l’equivalente di una bomba  atomica rispetto ai mercati finanziari. Questa non è una novità. Da sempre, le parole hanno un peso enorme in Borsa. Il “Whatever it takes” di Mario Draghi nel 2012 salvò l’euro e fece schizzare i mercati. Il falso tweet dell’AP nel 2013 su un’esplosione alla Casa Bianca bruciò 130 miliardi in pochi minuti. Elon Musk è finito nei guai per un tweet su Tesla (“Funding secured”) che fece volare il titolo e gli costò una multa milionaria.

Trump però ha portato tutto questo su un altro livello: usa la comunicazione come un’arma economica, capace di modificare il valore delle aziende, pilotare fiducia, spaventare o galvanizzare interi settori.

E mentre i mercati seguono ogni sua parola, c’è chi guadagna — e chi perde — nel tempo di un post.