Milano, 10 gen. (Adnkronos Salute) – "Queste malattie", i disturbi del comportamento alimentare, "stanno diventando incurabili non perché lo dice la medicina o la scienza, ma perché lo sta decretando la politica". E' netto Stefano Tavilla, fra i fondatori della Fondazione Fiocchetto Lilla e presidente dell'associazione 'Mi Nutro di Vita', che ha deciso di impegnarsi per i diritti delle persone che soffrono di queste patologie dopo la morte di sua figlia Giulia, 17 anni, per bulimia. "C'è un disegno politico", teme, che ha portato all'azzeramento, decretato dall'ultima Manovra, del Fondo per il contrasto dei disturbi della nutrizione e dell'alimentazione.
"Il Fondo – ricorda Tavilla all'Adnkronos Salute – nasceva perché a fine 2021 in sede di legge di Bilancio veniva approvato un emendamento con il quale veniva data a queste malattie un'autonomia all'interno dei Lea, Livelli essenziali di assistenza. Nel frattempo, questo Fondo doveva traghettarci verso il nuovo assetto per il tempo che serviva a mandare in porto la revisione dei Lea. Era un fondo ministeriale di 25 milioni in 2 anni per tutte le Regioni, che avrebbero potuto accedervi presentando i progetti. Cosa vogliamo noi ora? Vogliamo i Lea. Questa legge è ferma da 2 anni, manca il decreto attuativo. Se queste malattie venissero riconosciute nei Lea, avrebbero fondi dedicati in maniera uniforme per tutte le Regioni". Certo, la cancellazione del Fondo ha un risvolto: "Sarebbe l'interruzione di tutti quei servizi che sono stati finanziati nelle Regioni, soprattutto dove non c'era nulla, attraverso questo strumento", prospetta.
Ma il problema per le associazioni è un altro. Il nodo dei Lea è "fondamentale per dare una prospettiva stabile, progettuale, in modo che queste malattie abbiano delle risorse proprie su tutto il territorio nazionale. Un decreto attuativo per una legge dello Stato si potrebbe fare in qualsiasi momento. Invece – dice Tavilla – temo sia una scelta. A settembre due esponenti di questa maggioranza hanno fatto una proposta di legge per l'istituzione di un fondo permanente di 20 milioni annui per i disturbi del comportamento alimentare. Perché, se c'è una legge sui Lea da rendere attuativa? Non vogliamo si metta un cappello sopra i malati per ottenere consenso. Un fondo non servirebbe, se ci fossero i Lea. Ma a ottobre 2023 c'è stata un'interrogazione al sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, il quale ha risposto che l'Organizzazione mondiale della sanità ritiene questi disturbi malattie psichiatriche, quindi non vanno scorporati dalla salute mentale all'interno dei Lea".
Tavilla obietta: "Forse non è chiaro che queste sono patologie multidisciplinari, hanno bisogno sì di cure mentali, ma anche di cure che riguardano il corpo". Ed esprime perplessità, condivise con le famiglie e le persone alle prese con la malattia: "Basta andare a guardare gli ultimi report sulla salute mentale, in cui i disturbi del comportamento alimentare non sono stati mai citati. Inoltre quegli stessi report dicono, per esempio, che la fascia d'età più interessata per quanto riguarda gli utenti della salute mentale va dai 35 ai 55 anni. Noi sappiamo che sono più di 2 milioni i giovani sotto i 25 anni che soffrono di queste malattie. E anche quelli che muoiono".
Dopo il Covid, osserva peraltro, "l'età di approccio ai disturbi si è abbassata tantissimo, ci sono anche tanti bambini purtroppo. E sapete quanti ragazzini di 14 anni con questi problemi vengono ricoverati nei reparti di Psichiatria ordinaria perché non possono entrare più in ospedale pediatrico? Sapete cosa vuol dire per loro passare anche solo 15 giorni in un reparto di Psichiatria in un ospedale? Vuol dire segnarli per tutta la vita", incalza Tavilla.
"Noi – insiste – chiediamo che venga attuata quella legge sui Lea e che da quella legge venga costruita una rete di servizi in ogni regione. Oggi ci sono realtà in cui non c'è nulla per questi disturbi e c'è tanto turismo sanitario, famiglie costrette a fare chilometri per poter curare i loro cari. Faccio un esempio: pensate a una famiglia con due figli, uno malato e uno no, che dal Sud si deve spostare in Lombardia. La mamma magari segue la figlia impegnata nelle cure, il padre resta col fratello a più di mille km di distanza. Sarebbe ben diverso se il supporto queste persone lo avessero sotto casa".
"Poi si fa anche un altro errore – prosegue il papà della Fondazione Fiocchetto Lilla – Si inquadrano le necessità con la struttura, che è quella che riceve il malato nella situazione più grave. Ma ricordiamo che queste malattie prima si intercettano e prima possono avere una risoluzione. La realtà, però, è ben lontana. Oggi a Milano, 'capitale economica' di questo Paese, per fare una prima visita un utente lombardo deve aspettare dai 6 agli 8 mesi. A Roma, la capitale d'Italia, un utente romano aspetta dai 9 ai 12 mesi. Va considerato che già in partenza ci si accorge della malattia quando è avanzata. Se poi si deve aspettare quel lasso di tempo, si accede al servizio quando il malato è già grave".
E ora, se si interrompono i fondi, "oltre all'allungamento di liste d'attesa già lunghissime – rimarca Tavilla – vedremo una contrazione della cura, la guarigione sarà tarata verso il basso, dovremo fare percorsi sempre più brevi e ci accontenteremo di raggiungere solo una remissione dei sintomi o un certo livello di peso. Ma questa non è guarigione, è una condizione in cui un malato può avere una ricaduta, con tutto quello che ne consegue per la persona, per la famiglia e per il Servizio sanitario nazionale. Non nascondiamo infine che questa è una malattia di genere. I maschi stanno aumentando, è vero, ma la maggioranza sono donne. E ci sono tutte quelle donne oltre i 35 anni che ormai non vengono più curate. Cosa ne facciamo di queste persone? Sono già abbandonate".