Deve la fama imperitura all’amore e al genio di Caio Valerio Catullo, il grande poeta veronese che se ne innamorò perdutamente e che l’ ha resa immortale per averne cantato grazie e doti, non sempre apprezzabili in verità, negli epigrammi del suo Liber, celandone la vera identità sotto il nome fittizio di Lesbia, in onore dell’isola che aveva dato i natali alla famosa poetessa greca Saffo.
Appartenente alla gens Claudia, una delle più nobili e antiche famiglie patrizie romane, Clodia (o Claudia) era molto bella, brillante, disinvolta, colta e tanto disinibita da riempire le cronache mondane del tempo, pronte a coglierne e diffonderne ogni debolezza e ad esaltarne i molti vizi che costantemente le venivano attribuiti; egocentrica, spregiudicata e di sfrenata ambizione, non esitò ad entrare nei letti di molti potenti e ad uscirne con altrettanta facilità (fu amante anche di Cesare e Pompeo).
La storia d’amore con Catullo fu bruciante, una delle tante per lei, quella di una vita per lui.
Il poeta conobbe la donna, di qualche anno più grande, quando si trasferì a Roma dalla natìa Sirmione, la bella penisola di Verona; era sposata con Quinto Cecilio Metello Celere, che sarebbe stato console nel 60 a.C., ma questo non le impedì di aggiungere il giovane poeta alla sua infinita schiera di amanti, intrecciando con lui una relazione burrascosa, che tra alti e bassi, momenti idilliaci e rancorose momentanee separazioni, si sarebbe trascinata per qualche anno, recando all’infelice poeta più dolori che gioie.
Clodia era sorella di Publio Clodio Pulcro, tribuno della plebe, così affascinante e demagogo da essere diventato l’ idolo del popolo, delle cui voglie giocava a proprio piacimento e delle cui volontà si serviva abilmente a proprio favore.
Per motivi politici e privati Clodio era divenuto nemico giurato di Marco Tullio Cicerone e a farne le spese pubblicamente fu anche Clodia; quando la donna citò in tribunale l’ex amante Marco Celio, l’uomo potette godere della difesa e del talento dell’avvocato più famoso di Roma, che nell’orazione Pro Marco Celio, approfittò abilmente e subdolamente della ghiotta occasione per scagliarsi contro il rivale attraverso le presunte turpitudini della sorella.
Fu davvero velenoso il grande oratore nei confronti della giovane, della quale raccontò abitudini e smanie da libertina, giungendo a sostenere, neanche troppo velatamente, l’esistenza di una relazione sessuale tra Clodia e suo fratello, offrendo di lei l’immagine di un’ incallita pervertita oltre che di una meretrice senza pudore e ritegno.
Che tipo di donna fu dunque Clodia?
Nulla si può obiettare circa lo stile ineccepibile e le capacità oratorie di Cicerone, ma è necessario aggiungere che l’avvocato era solito servirsi spesso della propria straordinaria abilità usandola come arma tagliente e affilata contro i nemici, che a volte attaccava con rabbia inaudita per invidia o rancori personali, pertanto non è irragionevole supporre almeno una qualche esagerazione nel dipingere i tratti caratteriali di Clodia, rea di essere sorella di un suo acerrimo nemico.
A onor del vero però, persino Catullo, che l’amava pazzamente, soprattutto nei momenti di maggior lucidità e obiettività, quando la sua mente è meno ottenebrata dai sopori dell’amore e dalla cecità della passione, non può fare a meno di nascondersi i tanti, troppi difetti della donna che ama, che è un’ infedele impenitente, una persona superficiale e fatua, un’egocentrica che su tutto e tutti pone se stessa e i suoi ambiziosi obiettivi; in generale, anche dagli epigrammi di Catullo, non se ne ricava un’immagine particolarmente positiva.
Probabilmente Clodia non ebbe il dono di alcuna straordinaria virtù e neppure qualità tali da giustificare il grande clamore suscitato tra i contemporanei e nei secoli successivi: la Roma dell’epoca traboccava di donne dalle caratteristiche simili alle sue, e anche lei si perderebbe nell’oscurità dei tempi se non fosse stata eternata dalle poesie di Catullo, che l’amava, e presa di mira dalle invettive di Cicerone, che l’odiava.